Nel 2018 si è concluso l'intervento di riqualificazione della pinacoteca, chiusa da diversi anni e rinnovata in tutti i suoi ambienti e nelle sue sale espositive.[1] Nel corso del 2022, tra l'altro, sono state effettuate nuove acquisizioni di opere d'arte riguardanti il Settecento lombardo, con nuovi dipinti e un nuovo allestimento delle opere di Giacomo Ceruti.[2][3]
La facciata di palazzo Tosio progettata dall'architetto Rodolfo Vantini.
Il conte e collezionista Paolo Tosio decise di allestire in palazzo Tosio, dimora di sua proprietà progettata e ideata nel corso dell'Ottocento dall'architetto Rodolfo Vantini, una prima pinacoteca civica, che volle nel 1832 legare al comune di Brescia tramite lascito testamentario.[5][6][7]
Il palazzo dello stesso nobile bresciano era arrivato, nel corso degli anni, ad ospitare una ricca ed eterogenea collezione di opere d'arte, con dipinti della pittura cinquecentesca italiana appartenenti, tra gli altri, a Raffaello, al Moretto, al Lotto e al Savoldo. Ciononostante, erano comunque presenti svariati dipinti della scuola fiamminga e della pittura olandese del XVI e XVII secolo, oltre che della corrente neoclassica e romantica.[8] Questo considerevole patrimonio artistico, per volontà testamentaria dello stesso conte Tosio, fu donato all'autorità comunale «onde siano conservati perpetuamente in Brescia stessa a pubblico comodo».[9][10] Alla morte della moglie del conte, inoltre, si aggiunse a questo cospicuo lascito anche la stessa dimora nobiliare:[7]
«[...] perché abbia a lasciarvi in perpetuo gli oggetti d'arte disposti a favore della città medesima dall'ottimo mio marito e dove potrebbe a piacere collocarsi con tutto comodo quegli altri oggetti che la munificenza d'altri amatori della patria potesse lasciare ad aumento della collezione.»
(Roberta D'Adda (a cura di), Pinacoteca Tosio Martinengo, p.31.)
La facciata della pinacoteca progettata da Antonio Tagliaferri in una visione d'insieme.
Si venne dunque a creare, a seguito della trasformazione della galleria Tosio in bene pubblico, un primo esempio di pinacoteca civica, nonché la prima raccolta pubblica d'arte contemporanea in Italia.[11][N 1] Nel 1851 la stessa galleria fu aperta al pubblico, mantenendo tra l'altro l'originaria disposizione delle opere e degli arredi del palazzo. La collezione di opere esposte aumentò sensibilmente grazie al trasferimento di pale d'altare ed affreschi da chiese cittadine soppresse (tra le altre, la chiesa di San Domenico, la chiesa di San Barnaba, il santuario della Madonna delle Grazie e la chiesa di Santa Maria dei Miracoli) da palazzi e dimore signorili demolite oltre che da edifici municipali.[12]
Alcuni illustri cittadini bresciani, inoltre, tra i quali Camillo Brozzoni, Alessandro Sala, senza trascurare la stessa famiglia Calini, donarono un'ingente quantità di collezioni ed opere private.[6][8] Tra questi va citato anche il nome del collezionista Antonio Pitozzi che, nel 1844, chiese che i ventisei oggetti di pittura e scultura che aveva intenzione di donare «non abbiano a collocarsi nella galleria del benemerito fu C.te Tosio, ma bensì in separato, modesto locale, lusingandosi che con ciò possa avere origine la desiderata Civica Pinacoteca, della quale ancora difetta questa R. Città».[13]
Le aspirazioni espresse dal Pitozzi trovarono una concreta attuazione solo a seguito del lascito testamentario del conte Leopardo Martinengo.[13]
La collezione del conte Martinengo e la Pinacoteca Martinengo
Infatti, nel 1884, il conte Leopardo Martinengo da Barco, senatore, patriota e dotto uomo di cultura, tramite lascito testamentario fece dono al comune dell'omonimo palazzo di sua proprietà, oltre che della propria biblioteca, delle proprie collezioni scientifiche e di opere d'arte:[7] tra le tante, si annoveravano nella sua collezione dipinti di Vincenzo Foppa, del Ferramola, di Paolo da Caylina il Giovane, del Savoldo e del Romanino, oltre che del Moretto e di Lattanzio Gambara; senza poi contare le innumerevoli medaglie pontificie, alcune di epoca classica ed una ricca raccolta di libri e manoscritti poi trasferita alla biblioteca queriniana.[6]
In un primo momento, dunque, si decise di trasferire in questa sede le collezioni di privati non pertinenti a quella originaria del conte Tosio: dopo che tra il 1889 e il 1898 furono effettuati lavori di adeguamento strutturale da Antonio Tagliaferri, fu infine inaugurata la Pinacoteca Comunale Martinengo.[8][13][14] Nell'occasione, fu anche creata di fronte ad essa l'odierna piazza Moretto, abbellita con l'erezione del monumento al Moretto ad opera di Domenico Ghidoni.[6][15]
Restituita alla galleria Tosio la sua integrità originaria, dunque, la stessa pinacoteca aperta negli spazi di palazzo Martinengo fu consacrata a tempio della scuola pittorica bresciana: la nuova collezione, infatti, aveva il suo cuore pulsante nel suo grande salone che, nella sua visione complessiva, portò lo storico dell'arte Gustavo Frizzoni a dire:
«le impressioni del visitatore non possono se non sentirsi profondamente mutate, ossia mosse da un senso d'inaspettata maraviglia, trovandosi egli trasportato da un tratto in mezzo agli elementi più splendidi dell'arte bresciana.»
(Roberta D'Adda (a cura di), Pinacoteca Tosio Martinengo, pp. 38-41.)
La Pinacoteca Tosio-Martinengo
L'ingresso monumentale della pinacoteca bresciana su via Martinengo da barco.
Già a partire dal 1888, tuttavia, l'assessore del comune di Brescia Pertusati commissiona il trasporto di diverse opere dalla galleria Tosio alla pinacoteca Martinengo. Inoltre, nel 1893, la neonata pinacoteca Martinengo ebbe modo di ospitare altre collezioni private come quelle della galleria Faustini: è già nel settembre del medesimo anno, comunque, che il ministro della Pubblica Istruzione esorta le autorità comunali affinché fosse creata un'unica pinacoteca civica. Nel corso del 1900, nonostante l'opposizione dei conti Zuccheri, eredi del conte Tosio, sono molte le opere trasferite appunto da palazzo Tosio a quello Martinengo. L'11 luglio, a sancire definitivamente il trasferimento di sede nel palazzo di via Moretto, il comune vota all'unanimità la collocazione delle opere all'interno appunto di palazzo Martinengo. A favore di questa operazione museale si conta anche il parere favorevole di Adolfo Venturi e Corrado Ricci.[16] La creazione della nuova pinacoteca viene anche formalizzata tramite un accordo con gli eredi dei conti Tosio, oltre che con una delibera comunale del 12 marzo 1903: nasceva così la "Civica Pinacoteca Tosio-Martinengo".[17] Nel 1906 l'unione è formalizzata e nel 1908 la sede riapre al pubblico.[6][18]
Inoltre il pittore Giuseppe Ariassi, tra l'altro allievo di Francesco Hayez e maestro di Francesco Filippini, fu il presidente della pinacoteca Tosio Martinengo per oltre trent'anni; ebbe anche modo di dirigere personalmente la scuola di disegno ad essa annessa, oltre che essere il principale organizzatore, nel 1878, dell'«Esposizione della Pittura Bresciana» allestita nella rinascimentale crociera di San Luca.[13][19]
Il riassetto delle opere e delle sale all'inizio del Novecento
L'Angelo dipinto da Raffaello e conservato nelle collezioni della pinacoteca
Nel frattempo la collezione si era arricchita di molte opere, frutto perlopiù di lasciti testamentari di privati o di famiglie, tra i quali si annovera, nel 1920, l'acquisizione di preziosi dipinti e stampe giapponesi dei Fè-d'Ostiani, portata in Italia dal conte Alessandro Fè d'Ostiani. Nel 1912, d'altro canto, gli studi del tedesco Oskar Fischel rivelarono la presenza, tra le collezioni della pinacoteca, dell'Angelo che un tempo fece parte della pala Baronci di Città di Castello, opera di Raffaello Sanzio. Senza aspettare conferme circa la paternità dell'opera, alcuni ignoti tentarono, nella notte tra il 30 aprile ed il 1º maggio, di rubare il dipinto.[6] Nel settembre dello stesso anno poi, grazie a studi più approfonditi da parte di Corrado Ricci e Luigi Cavenaghi, l'attribuzione fu certamente attribuita all'urbinate.[16]
Nel 1914, inoltre, grazie all'intervento di Giulio Zappa e del suo aiutante, Ettore Modigliani, fu cambiata la disposizione delle sale e del percorso espositivo,[20] da allora più logico e lineare nella sua interezza, dato che partiva dalle opere più antiche per arrivare a quelle più cronologicamente vicine:[21] furono anche esposti molti dipinti prima conservati nei magazzini, tra i quali lo stesso Angelo raffaellesco e un Cristo colla croce proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Solario. Oltre a ciò, furono anche collocati nei saloni centrali le opere del Romanino e del Moretto. Furono anche murate le finestre ed aperti ampi e spaziosi lucernari, benché comunque l'operazione venne interrotta a causa dello scoppio della prima guerra mondiale: il 22 maggio 1915, infatti, la pinacoteca fu chiusa al pubblico e le opere più preziose trasferite a Roma.[6][20][22]
La pinacoteca venne riaperta già nel 1916 in occasione di un'esposizione sulla pittura del Rinascimento lombardo;[8] ciononostante, riaprì ufficialmente al pubblico soltanto nel 1920. Attorno al 1925 e fino al 1927, inoltre, Giorgio Nicodemi riorganizzò lo schema espositivo della pinacoteca.[20]
Lo scoppio della seconda guerra mondiale
Nel 1939 fu istituita una commissione formata da studiosi dell'arte quali Fausto Lechi, Gaetano Panazza e Virgilio Vecchia affinché fossero riordinate le opere e la disposizione delle stesse, in occasione di una nuova mostra incentrata sulla pittura bresciana nel Rinascimento; tuttavia, a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale, il tutto si interruppe.[20] Molte opere infatti furono sfollate in diversi luoghi, nel corso del 1941: nella Villa Fenaroli di Seniga, in quella Lechi di Erbusco, nel abbazia di Rodengo-Saiano ed anche fuori provincia.
Il 15 ottobre 1946 la pinacoteca poté finalmente riaprire al pubblico e venne inaugurato, nel 1953, un nuovo riassetto dei dipinti fortemente voluto da Alessandro Scrinzi, allora direttore, oltre che da Giovanni Vezzoli e anche da Fausto Lechi.[6][23]
La sistemazione e riqualificazione della pinacoteca
La pinacoteca in fase di ristrutturazione, prima della riapertura definitiva nel 2018.
Chiusa già nel 1969, comunque, la pinacoteca venne chiusa al pubblico per lavori di restauro e riaperta subito dopo, nel 1970. In quell'occasione si rinnovarono gli impianti d'illuminazione e si pulirono gli stucchi, senza contare gli innumerevoli restauri di dipinti ed affreschi effettuati; anche nel 1990 venne intrapresa una vasta operazione di restauro che si concluse solo nel 1994.
La pinacoteca, nel frattempo, aveva avuto modo di arricchirsi di pregevoli opere, tra le quali, per esempio, il ritratto di giovane flautista del Savoldo, la cosiddetta Pietà del Foppa, oltre che il Ritratto di dama e i Dieci busti di profeti del Moretto e alcune delle tele che costituivano il nucleo dei ciclo di Padernello di Giacomo Ceruti.[6][23]
Chiusa infine dal 2009, il 17 marzo 2018 la pinacoteca è stata riaperta dopo un lungo restauro.[24][25][26] Nel corso del 2022, tra l'altro, una nuova serie di lasciti testamentari, donazioni e depositi ha portato al rinnovamento totale della sezione dedicata al Settecento, dedicata in particolare alla pittura della realtà di Giacomo Ceruti.[27]
Nella seconda sala del percorso, spostandosi anche da un punto di vista prettamente cronologico, si incontrano alcune opere già del primo Cinquecento bresciano; nelle vetrine si possono ammirare oreficerie a tema sacro e piatti decorati con smalti.[29]
Pala della Mercanzia: Madonna con il Bambino tra i santi Faustino e Giovita, 1501-1509 circa, tempera e olio su tela.Pala della Mercanzia di Vincenzo Foppa.
Stendardo di Orzinuovi: Madonna con il Bambino tra Santa Caterina d'Alessandria e san Bernardino da Siena (fronte); San Sebastiano tra san Giorgio e san Rocco (retro), 1514, tempera e olio su tela.
Il grande ambiente della terza sala ospita la collezione di opere del rinascimento bresciano, a suo tempo appartenente al conte Tosio; sono infatti presenti pitture a tema sacro di Andrea Previtali, di Francesco Francia e Andrea Solari.[31]
La seconda parte di queste opere rinascimentali, provenienti dalle collezioni del Tosio, culmina con il confronto tra le opere di artisti bresciani, perlopiù il Moretto, e le opere del Sanzio; si vuole dunque tenere fede alla tradizione secondo cui il Bonvicini sarebbe da ritenersi il "Raffaello bresciano".[32]
Dalla sala numero cinque in poi, sino all'ottava, l'attenzione del percorso si focalizza volutamente sui grandi maestri del rinascimento bresciano, accorpando appositamente opere tra loro simili per suscitare un confronto continuo tra le opere presenti.[32]
Dieci figure di profeti, 1525 circa, affreschi (strappi).
Sala 6
Il percorso prosegue interponendo alcune opere del Savoldo, del Lotto e sempre del Moretto; dunque il punto d'incontro di questi dipinti, e del loro confronto, risiede nell'utilizzo della luce e della resa atmosferica dei colori.[31][32]
La settima sala ospita ed espone i maggiori esempi di opere prodotte dai maestri bresciani del pieno Cinquecento: provenienti dai più disparati contesti cittadini, ora chiese, ora dimore signorili, ora proprietà di confraternite, l'elemento in comune è una innata resa realistica e vicina dunque al dato reale.[32]
Il grande salone dalle pareti rosse ospita le altrettanto grandi pale d'altare provenienti dalle chiese cittadine e del territorio bresciano; notevole è anche il leggio intarsiato di fra' Raffaele da Brescia, proveniente dall'abbazia di San Nicola di Rodengo-Saiano.[32][33][34]
La sala successiva è invece dedicata al Manierismo e a ceramiche e bronzetti decorativi di produzione italiana; sono anche presenti diversi paramenti murari recanti affreschi asportati da dimore private e palazzi.[32]
Nella sala successiva si incontrano alcuni ritratti di figure eminenti e di spicco del panorama lombardo, ad opera di altrettanti artisti provenienti dal medesimo contesto.[32][33]
Nella sala numero 11 del percorso si arriva ad osservare la pittura dell XVII secolo, con un costante confronto tra la pittura di matrice classica (perlopiù di provenienza emiliana) e quella invece più "tenebrosa", considerando anche le diverse declinazioni geografiche della medesima.[32][33]
Il percorso della mostra prosegue con un'intera sala dedicata ed incentrata sulla produzione artistica di Giacomo Ceruti, meglio noto come il Pitocchetto; si inaugura così la pittura tipica del XVIII secolo, con i pezzi più pregiati dell'intera collezione.[32][36]
L'incontro nel bosco (Due poveri in un bosco), 1730-1735 circa, olio su tela.
Scuola di ragazze, 1720-1725 circa, olio su tela.
Figure di calzolai con un cliente
La filatrice del Pitocchetto.La filatrice
Portarolo, 1730-1734 circa, olio su tela (deposito di una collezione privata)
Giocatori di carte
Sala 13
La sala 13 in una veduta d'insieme.
La sala seguente, detta "degli specchi", è interamente dedicata a preziosi vetri veneziani della collezione Brozzoni; una quarantina di esemplari testimoniano infatti l'evoluzione di tale arte tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Settecento.[32][36]
Sala 14 e 15
Incentrate sul tema della pittura di genere e su figure allegoriche, espone opere di artisti non soltanto bresciani; i soggetti propendono comunque verso il paesaggio e scene di vita bucolica ed agreste, con la presenza preponderante di figure di contadini e pastori.[32][36] Nel 2022 sono state acquisite e qui collocate nuove opere di Giacomo Ceruti.[37]
Le sale seguenti sono un chiaro esempio di arte rococò, le cui movenze e decorazioni sono state conciliate con i colori degli stucchi e dei soffitti stessi; anche in questa sala, comunque, sono presenti ritratti di maestranze lombarde.[32]
Questo ambiente presenta un interessante pendant di Antonio Cifrondi, definito dallo storico dell'arteRoberto Longhi un "Pierrot lunaire",[38] chiarificando così lo stile del pittore.[32]
Nella sala successiva, allestita secondo il gusto delle dimore signorili settecentesche, si può osservare la singolare opera di Simon Troger: elogiata da Leopoldo Cicognara nella sua opera "tanto per il virtuosismo tecnico dell’esecutore quanto per la purezza preclassica delle figure".[32]
Simon Troger
Il sacrifico di Isacco, 1738 circa, avorio e legno (altezza 265 cm)
Sala 19
L'ultimo ambiente a tema settecentesco è appunto la sala numero 19, che esemplifica perfettamente l'arte promossa da Faustino Bocchi; con esso, anche una chiara espressione della cosiddetta "pittura a pigmei".[32][39]
Armadio dipinto con grottesche e scene di nani (legno e dipinto dorato)
Sala 20
Il percorso delle precedenti esposizioni, escludendo quelle di recente allestimento degli anni 2000, avrebbe terminato la mostra con queste ultime sale; tuttavia sono esposte in questo ambiente opere del primo Ottocento.[32]
F. Hayez - Incontro di Giacobbe ed Esaù (1844),olio su tela 298 x 210 cm.
Il percorso della mostra si conclude con alcune opere dei maggiori esponenti del Neoclassicismo e del Romanticismo italiano ed europeo. La preponderante componente classica di questa fase pittorica è interconnessa infine con quella della pala di Sant'Eufemia del Moretto, anch'essa emblematica per quanto riguarda l'influenza dell'arte classica.
La mostra, poi, si chiude idealmente con un'opera di Luigi Basiletti, un Ritratto del Conte Paolo Tosio.[32]
^Simone Facchinetti, Giovan Battista Moroni: Un 'ritratto magnifico' e otto opere restaurate, Bergamo, Fondazione Credito Bergamasco, 2015, SBNLO11600503.
Roberto Longhi, Cose bresciane del Cinquecento, Roma, Tip. Unione Ed., 1917, SBNCUB0379420.
Luigi Francesco Fè d'Ostiani, Storia, tradizione e arte nelle vie di Brescia, a cura di Paolo Guerrini, Brescia, Figli di Maria Immacolata, 1927, SBNVEA1145856.
Gaetano Panazza e Camillo Boselli, Pitture in Brescia dal Duecento all'Ottocento: catalogo della mostra, Brescia, Tip. Morcelliana, 1946, SBNNAP0128859.
Gaetano Panazza (a cura di), La Pinacoteca Tosio-Martinengo, in I civici musei e la Pinacoteca di Brescia, Brescia, Credito Agrario Bresciano, 1958, pp. 95-164, SBNSBL0487415.
Roberto Longhi, Me pinxit e quesiti caravaggeschi: 1928-1934, Firenze, Sansoni, 1968 [1929], SBNLI30008107.
Fausto Lechi, Vol. 6: Il Settecento e il primo Ottocento nella città, in Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, VII, Brescia, Edizioni di Storia bresciana, 1979, pp. 66-74, SBNMIL0006847.
Bruno Passamani, Guida della pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia, Grafo, 1988, SBNCFI0126839.
(EN) Andrea Bayer, North of the Apennines: Sixteenth-Century italian painting in Lombardy and Emilia-Romagna, New York, Metropolitan Museum of Art, 2003, SBNVIA0102337.