Potere esecutivo

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Governo Parri - 1945

Nelle scienze politiche, secondo il principio di separazione dei poteri dello Stato, il potere esecutivo, generalmente posseduto da un'istituzione denominata "governo" o "esecutivo", è in prima istanza il potere di far applicare e rispettare le leggi.

Distinzione dagli altri poteri

L'Esecutivo è distinto dal potere legislativo, che è il potere di fare le leggi (legiferare), e dal potere giudiziario che è invece il potere di giudicare ed eventualmente punire chi non rispetta le leggi. Tali poteri sono in genere riservati al sovrano in caso di monarchia assoluta.

In ambito democratico il potere esecutivo è esercitato da organi che eseguono le prescrizioni delle leggi e attuano in concreto le pubbliche finalità. La tutela del Governo, nell'esercizio di tali funzioni, risponde all'esigenza di governabilità, che le singole forme di governo[1] bilanciano variamente con l'esigenza di rappresentatività propria delle assemblee elettive.

Nell'ordinamento italiano

Il potere esecutivo può talvolta svolgere funzioni di rango normativo primario: nei regimi presidenziali ciò è imputato direttamente alla responsabilità del Presidente (Executive order negli USA), mentre in Italia avviene con l'emanazione di decreti legge in situazioni di emergenza (che vanno poi approvati dal parlamento entro 60 giorni) o con i decreti legislativi delegati, attraverso i quali il governo agisce su incarico del Parlamento in riferimento a determinati ambiti. In questi casi il potere esecutivo si pone in rapporto dialettico[2] non soltanto con il Parlamento, ma anche con il Capo dello Stato, che esercita il potere di firma in modo variamente incisivo.

In maniera analoga anche gli enti locali e le regioni (enti territoriali) esercitano il potere esecutivo per l'amministrazione locale a mezzo di sindaci, presidenti e organi collegiali quali le giunte.

Ruolo del potere esecutivo

I suoi compiti sono molteplici:

Il rapporto del Governo con la pubblica amministrazione è oggetto di configurazioni divergenti: per Sabino Cassese, "il governo da parte di un’oligarchia per conto del popolo, quello che chiamiamo democrazia, ha bisogno di strumenti per la realizzazione delle politiche pubbliche proposte all’elettorato e da questo approvate con le votazioni [...] Un braccio forte deve assicurare l’attuazione delle decisioni degli eletti dal popolo [...] Di qui l’importanza fondamentale per il successo della democrazia, della conformazione dell’esecutivo [...] La scarsa attenzione per l’aspetto esecutivo è stata causa dell’astrattezza di molte riflessioni sulla democrazia”[3]. Per Claudio Petruccioli, invece, «il cardine fra “area rappresentativa” e “area non rappresentativa” è quello che chiamiamo ordinariamente “governo”. Le trasformazioni e le innovazioni di vario tipo che stanno investendo le nostre società accrescono funzioni e importanza di quel cardine, del “raccordo” (...) l’area rappresentativa come quella non rappresentativa dello Stato possono in tal modo disporre di una facile testa di turco. Le inadeguatezze dell’una e dell’altra vengono scaricate sul “raccordo” che non funziona, non è all’altezza: accusato di incapacità nel tradurre coerentemente le disposizioni e gli input che gli vengono dalla “rappresentanza” – cioè dalla politica – e nello stesso tempo di voler far prevalere gli arbitrii della politica sulle rigorose competenze “super partes” dell’amministrazione»[4].

In Italia

Secondo la Corte costituzionale italiana, lo "scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale, (...) costituisce senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo", ma va conseguito mediante un "bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti"[5]. La dottrina ha letto la sentenza come affermazione dell'impegno della Corte a garantire "quell’equilibrio che, nella forma di governo parlamentare, dovrebbe sempre sussistere tra Parlamento e Governo, e quindi tra rappresentatività e governabilità"[6]: si tratta di un equilibrio funzionale al principio pluralistico[7].

La cosiddetta "governabilità" del sistema - richiesta affermatasi a livello economico nel 1975 con un rapporto della Trilateral Commission, ma già presente nell'ordine del giorno Perassi all'Assemblea costituente - è quindi un'esigenza imprescindibile, ma non può prevalere su diritti fondamentali equiordinati[8] o sull'equilibrio costituzionale tra i poteri[9]. La giuridicità di un ordinamento non può infatti "coniugarsi con l'idea che la necessità di elaborazione di schemi che soddisfino le esigenze di governabilità possa tutto giustificare o spiegare. La repubblica non esiste al di fuori, o al di sopra, del diritto, e le supreme potestà dell'ordinamento che essa esprime esistono solo in quanto giuridicamente istituite e regolate, nel senso di forza regolata dal diritto"[10].

Note

  1. ^ A. Pisaneschi, Brevi considerazioni su efficienza del governo e riforme costituzionali, in Rivista AIC, n. 4/2015, pp. 9 ss.
  2. ^ Per il rilievo costituzionale di questo rapporto, v. la ricostruzione dell'effetto della sentenza della Corte costituzionale italiana n. 23 del 2011, in https://www.academia.edu/28664573/letteradirettoresecoloXIX.
  3. ^ S. CASSESE, La democrazia e i suoi limiti, Mondadori, 2017, pp. 36-38.
  4. ^ C.PETRUCCIOLI, Democrazia senza cardine, Mondoperaio, n. 2/2017, p. 16.
  5. ^ Corte costituzionale, sentenza n. 1 del 2014, Considerato in diritto. alla stessa stregua, la Corte Costituzionale, con la sentenza 24 settembre 2015 n. 193, ha ritenuto che "contribuire alla governabilità" fosse "un fine non arbitrario".
  6. ^ Alessandro Pace, STATO COSTITUZIONALE E SEGRETO DI STATO: UNA COESISTENZA PROBLEMATICA, Giurisprudenza Costituzionale, fasc.5, 2015, pag. 1719.
  7. ^ Salvatore Piraino, REPUBBLICA E DEMOCRAZIA, Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2014, pag. 281: "se la società è plurale e le costituzioni, di conseguenza, non possono che essere pluraliste (....), i pubblici poteri di una collettività pluralista sono poteri distribuiti tra soggetti diversi, ma strettamente integrati, nella visione solidale del pluralismo dei poteri, inquadrata in un sistema di autonomie, di garanzie e di equilibri disegnato dalla costituzione dell'ente esponenziale della collettività maggiore, la cui articolazione pluralistica è garantita dalla funzione insostituibile dell'istituto parlamentare, sede del confronto e della contrapposizione di tutti i pubblici poteri".
  8. ^ Maurizio Belpietro, L'impronta di JP Morgan sulla riforma del premier, La verità, 30 settembre 2016, sostiene ad esempio che al rapporto di JP Morgan, The Euro area adjustment: about halfway there, 28 May 2013, p. 12 "non va bene che si possano contestare le decisioni prese dal governo".
  9. ^ Su "come la composizione e la legittimazione delle assemblee legislative, influenzate dall'equivoca necessità della governabilità, possano snaturare la formazione della legge" v. Follieri Francesco, CORRETTEZZA (RICHTIGKEIT) E LEGITTIMAZIONE DEL DIRITTO GIURISPRUDENZIALE AL TEMPO DELLA VINCOLATIVITÀ DEL PRECEDENTE, Diritto Amministrativo 2014, pag. 265, fasc. 1-2.
  10. ^ Salvatore Piraino, REPUBBLICA E DEMOCRAZIA, Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2014, pag. 281.

Bibliografia

  • Armaroli Paolo, L'introvabile governabilità, Padova, Cedam, 1986.
  • G. Freddi , Burocrazia, democrazia e governabilità, in G. Freddi (a cura di), Scienza dell'amministrazione e politiche pubbliche, Nis , Roma, 1989, 19-65.
  • Patrick Overeem, The Politics-Administration Dichotomy: Toward a Constitutional Perspective, Second Edition [2 ed.], 1439895899, 9781439895894, CRC Press, 2012.

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