Voltaire
Voltaire (pronunciato in italiano /volˈtɛr/[1]; in francese [vɔltɛ:ʀ]), pseudonimo di François-Marie Arouet ([fʀɑ̃swa maʀi aʀwɛ]; Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778), è stato un filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista, autore di fiabe, romanziere e saggista francese.
Il nome di Voltaire è legato al movimento culturale dell'illuminismo, una corrente di pensiero del '700, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali insieme a Montesquieu, Rousseau, Diderot, d'Alembert, d'Holbach e du Châtelet, tutti gravitanti attorno all'ambiente dell'Encyclopédie.[2] La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza per l'ironia, la chiarezza dello stile, la vivacità dei toni e la polemica contro le ingiustizie e le superstizioni.[3][4] Deista,[5] cioè seguace della religione naturale che vede la divinità come estranea al mondo e alla storia, ma scettico, fortemente anticlericale e laico, Voltaire è considerato uno dei principali ispiratori del pensiero razionalista e non religioso moderno.[6][7]
Le idee e le opere di Voltaire, così come quelle degli altri illuministi, hanno ispirato e influenzato moltissimi pensatori, politici e intellettuali contemporanei e successivi e ancora oggi sono molto diffuse. In particolare hanno influenzato protagonisti della rivoluzione americana, come Benjamin Franklin e Thomas Jefferson, e di quella francese, come Jean Sylvain Bailly (che tenne una proficua corrispondenza epistolare con Voltaire), Condorcet (anche lui enciclopedista) e in parte Robespierre,[8][9] oltre che molti altri filosofi come Cesare Beccaria,[10] Karl Marx[11] e Friedrich Nietzsche.[12]
Biografia
Inizi (1694–1716)
François-Marie Arouet nasce il 21 novembre 1694 a Parigi in una famiglia appartenente alla ricca borghesia. Come lo stesso pensatore sostenne a più riprese, la data di nascita riferitaci dai registri di battesimo – che lo collocano al 22 novembre e affermano che il futuro scrittore nacque il giorno prima – potrebbe essere falsa: a causa di gravi problemi di salute il battesimo sarebbe infatti stato rimandato di ben nove mesi; egli affermò infatti di essere nato il 20 febbraio 1694.[13] Poiché tuttavia la prassi vuole che in caso di pericolo per il bambino il battesimo venga impartito immediatamente, occorre ritenere che se ritardo vi fu esso sia dipeso da altre ragioni. Il padre François Arouet (morto nel 1722), avvocato, era anche un ricco notaio, conseiller du roi, alto funzionario fiscale e un fervente giansenista, mentre la madre, Marie Marguerite d'Aumart (1660-1701), era appartenente a una famiglia vicina alla nobiltà. Il fratello maggiore Armand (1685–1765), avvocato al Parlamento, poi successore del padre come receveur des épices, era molto inserito nell'ambiente giansenista all'epoca della fronda contro la Bolla Unigenitus e del diacono Pâris. La sorella, Marie Arouet (1686–1726), l'unica persona della famiglia che fu affezionata a Voltaire, sposò Pierre François Mignot, correttore presso la Chambre des comptes, e fu la madre dell'abate Mignot, che giocò un ruolo importante alla morte di Voltaire, e di Marie Louise, la futura Madame Denis, che condividerà una parte della vita dello scrittore.
Originario dell'Haut Poitou, precisamente di Saint-Loup, piccola località situata nell'attuale dipartimento Deux-Sèvres, François si trasferì a Parigi nel 1675 e si sposò nel 1683. Voltaire fu l'ultimo di cinque figli: il primogenito Armand-François morì tuttavia ancora piccolo, nel 1684, e stessa sorte toccò cinque anni più tardi al fratello Robert. Il citato Armand vide la luce nel 1685, mentre l'unica femmina, Marguerite-Catherine, nacque nel 1686.[14][15] Voltaire perse la madre a soli 7 anni, e venne cresciuto dal padre con cui avrà sempre un rapporto molto conflittuale.[16]
Nell'ottobre 1704 entrò al rinomato collegio gesuita Louis-le-Grand. In questo periodo il giovane Voltaire dimostrò una spiccata inclinazione per gli studi umanistici, soprattutto retorica e filosofia. Benché destinato a essere molto critico nei confronti dei gesuiti, Voltaire poté beneficiare dell'intensa vita intellettuale del collegio.[17] L'amore per le lettere fu favorito in particolare da due maestri. Nei confronti del padre René-Joseph de Tournemine, erudito direttore del principale giornale dei Gesuiti – le Mémoires de Trévoux – con cui avrebbe avuto qualche dissidio in materia di ortodossia religiosa, nutrì sempre gratitudine e stima.[18] Con il professore di retorica il padre Charles Porée, l'adolescente strinse un'amicizia anche più intensa e altrettanto duratura; l'ecclesiastico, che fu maestro di illustri pensatori quali Helvétius e Diderot, era inoltre molto attivo in ambito letterario. Porée licenziò un'ampia produzione di poesie, oratori, saggi e canovacci teatrali, messi in scena, questi ultimi, nello stesso Collegio, dove il grande interesse per il teatro mise subito Voltaire a contatto con un'arte che avrebbe praticato lungo tutta la sua carriera.[19] Qualche mese prima di morire, verso gli 85 anni, la famosa cortigiana e protettrice delle arti Ninon de Lenclos, si fece presentare il giovane Arouet, allora circa undicenne[20] e colpita dalle sue capacità, nel suo testamento gli lasciò 2 000 lire tornesi (l'equivalente di 7800 € del 2008)[21] affinché potesse acquistarsi dei libri (in effetti, all'inizio del XVIII secolo, come nota il maresciallo Vauban sulla Dîme royale, un semplice lavoratore a giornata guadagnava meno di 300 lire all'anno).
Nel collegio raggiunge un'approfondita conoscenza del latino, tramite la lettura di autori come Virgilio, Orazio, Lucano, Cicerone; di contro, assai scarso o forse del tutto assente fu l'insegnamento del greco[22][23]. Nel corso della vita studierà e parlerà in maniera fluente tre lingue moderne, oltre al francese: l'inglese, l'italiano e, in misura minore, lo spagnolo, che userà in molte lettere con corrispondenti stranieri.[24]
Nel 1711 lascia il collegio e s'iscrive, per volere paterno, alla scuola superiore di diritto che comunque lascerà dopo soli quattro mesi con fermo e deciso disgusto, in quanto egli non aveva mai espresso alcun desiderio di fare l'avvocato.[25] In questi anni s'inasprisce molto il rapporto con il padre, il quale mal sopporta la sua vocazione poetica e i continui rapporti con i circoli filosofici libertini, come la Societé du Temple di Parigi. Indicativo di ciò è il fatto che Voltaire si vantava (a torto o a ragione) di essere un figlio illegittimo.[26][27] Nel 1713 lavorò come segretario all'Ambasciata francese all'Aja, poi tornò a Parigi per svolgere il praticantato presso un notaio, per cercare di omaggiare rispettosamente le orme del tanto odiato padre; in realtà egli desiderava sottrarsi alla pesante influenza del genitore che infatti ripudiò dopo poco tempo, e cominciò a scrivere articoli e versi duri e caustici verso le autorità costituite.[28]
Persecuzioni ed esilio in Inghilterra (1716–1728)
I suoi scritti molto polemici trovarono immediato successo nei salotti nobiliari[29]; nel 1716 ciò gli costò l'esilio a Tulle e Sully-sur-Loire; alcuni versi satirici, del 1717, contro il reggente di Francia Filippo d'Orléans, che governava in nome del giovanissimo Luigi XV, e contro sua figlia, la Duchessa di Berry[30], gli causarono l'arresto e la reclusione alla Bastiglia, poi un altro periodo di confino a Chatenay.[31] Alla morte del padre, nel 1722, l'investimento oculato dell'eredità paterna mette Voltaire al riparo per sempre da preoccupazioni finanziarie, permettendogli di vivere con una certa larghezza.[32] La pubblicazione del poema La Ligue del 1723, scritto durante la prigionia, ottenne invece l'assegnazione di una pensione di corte da parte del giovane re.[33] L'opera, dedicata al re Enrico IV di Francia, giudicato un campione della tolleranza religiosa in contrasto con l'oscurantista e intollerante Luigi XIV (che ebbe contrasti col Papa, ma revocò l'editto di Nantes, tornando alle persecuzioni contro ugonotti e giansenisti), verrà pubblicata nuovamente col titolo Enriade, nel 1728.[34] Il favore che gli mostrarono subitaneamente i nobili di Francia non durò a lungo: sempre per colpa dei suoi scritti mordaci, litigò con l'aristocratico Guy-Auguste de Rohan-Chabot, cavaliere di Rohan, che l'aveva apostrofato con scherno presso un teatro. Il giorno seguente Rohan lo fece aggredire e malmenare dai suoi domestici, armati di bastone, per poi rifiutare con sprezzo il duello di riparazione del torto, proposto dal giovane poeta.[35] Le proteste di Voltaire gli servirono solo a essere imprigionato nuovamente, grazie a una lettre de cachet, cioè un ordine in bianco di arresto (spettava a chi possedeva il documento aggiungere il nome della persona da colpire) ottenuto dalla famiglia del rivale e firmata da Filippo d'Orléans.[36][37] Dopo un breve periodo in esilio fuori Parigi, Voltaire, sotto minaccia di un nuovo arresto, si vide costretto a emigrare in Inghilterra (1726-1729).[38][39] In Gran Bretagna, grazie alla conoscenza di uomini di cultura liberale, scrittori e filosofi come Robert Walpole, Jonathan Swift, Alexander Pope e George Berkeley, maturò idee illuministe contrarie all'assolutismo feudale della Francia.[40]
Dal 1726 al 1728 visse in Maiden Lane, Covent Garden, nel luogo oggi ricordato da una targa al n. 10.[41] L'esilio di Voltaire in Gran Bretagna durò tre anni, e questa esperienza influenzò fortemente il suo pensiero. Era attratto dalla monarchia costituzionale in contrasto con la monarchia assoluta francese, e da una maggiore possibilità delle libertà di parola e di religione, e il diritto di habeas corpus.[42] Venne influenzato da diversi scrittori neoclassici dell'epoca, e sviluppò un interesse per la letteratura inglese precedente, soprattutto le opere di Shakespeare, ancora relativamente sconosciuto in Europa continentale. Nonostante sottolineasse le sue deviazioni dagli standard neoclassici, Voltaire vide Shakespeare come un esempio che gli scrittori francesi potevano emulare, poiché nel dramma francese, giudicato più lucido, mancava l'azione sul palco. Più tardi, tuttavia, come l'influenza di Shakespeare crebbe in Francia, Voltaire cercò di contrastare ciò con le proprie opere, denunciando ciò che considerava "barbarie shakesperiana".[43] In Inghilterra fu presente al funerale di Isaac Newton, ed elogiò gli inglesi per aver onorato uno scienziato considerato eretico con la sepoltura nell'Abbazia di Westminster.[44][45][46]
Dopo quasi tre anni di esilio, Voltaire tornò a Parigi e pubblicò le sue opinioni nei confronti del governo britannico, la letteratura e la religione in una raccolta di saggi, le Lettere inglesi (o Lettere filosofiche), pubblicate nel 1734 e per le quali venne di nuovo condannato, in quanto aspramente critiche contro l'ancien régime e antidogmatiche.[38][47] Nell'opera Voltaire considera la monarchia inglese - costituzionale, sorta in maniera compiuta dalla Gloriosa rivoluzione del 1689 - come più sviluppata e più rispettosa dei diritti umani (in particolare la tolleranza religiosa) rispetto al suo regime omologo francese.[48][49]
Il nome Voltaire
Durante l'esilio in Inghilterra assunse lo pseudonimo di "Arouet de Voltaire" (già usato però come firma nel 1719), poi accorciato in Voltaire, per separare il suo nome da quello del padre ed evitare confusioni con poeti dal nome simile.[50][51] L'uso dello pseudonimo era diffuso nell'ambiente teatrale, come già era all'epoca di Molière, ma l'origine del nom de plume è incerta e fonte di dibattito; le ipotesi più probabili sono:
- "Voltaire" potrebbe essere un particolare anagramma del cognome in scrittura capitale latina, dal nome con cui era conosciuto in gioventù, Arouet le Jeune (Arouet il giovane, per distinguerlo dal padre omonimo): da AROUET L(e) J(eune) a AROVET L. I. o AROVETLI, da cui VOLTAIRE. Questa è la teoria generalmente più diffusa.[40]
- Un'altra teoria ricorre al luogo d'origine della famiglia Arouet: la cittadina di Airvault, il cui anagramma potrebbe rendere lo pseudonimo, nella forma "Vaultair", con pronuncia francese identica a quella del nome scritto con la grafia "Voltaire".[52]
- Richard Holmes aggiunge che, oltre a questi motivi, il nome Voltaire fu scelto anche per trasmettere le connotazioni di "velocità" e "audacia". Questi provengono da associazioni con parole come "volteggio" (acrobazie su trapezio o cavallo), "voltafaccia" (fuga dai nemici), e "volatile" (originariamente, qualsiasi creatura alata, anche in senso figurato, onde dare una sensazione di agilità mentale e leggerezza).[53]
- Una delle teorie minoritarie vuole che derivi dalla parola "revolté", ossia "rivoltato, in rivolta" (contro il vecchio ordine); lo pseudonimo sarebbe la metatesi sillabica di una trasformazione grafica della parola: da "revolté" a "revoltai" (la pronuncia è uguale), e quindi "Voltaire".[54][55]
- Una ricerca di Simone Migliorini porta anche a considerare la scelta dello pseudonimo un omaggio alla antichissima città di Volterra. Non raramente infatti Voltaire citava brani del poeta stoico volterrano Aulo Persio Flacco e Volterra rappresenta da sempre una delle più antiche città dove, fin dagli albori della civiltà, si è sperimentata la democrazia.[56]
Di nuovo in Francia (1728–1749): la relazione con la Châtelet
Costretto ancora esule in Lorena (a causa dell'opera Storia di Carlo XII del 1731), scrisse le tragedie Bruto e La morte di Cesare, cui seguirono Maometto ossia il fanatismo, che volle polemicamente dedicare al Papa Benedetto XIV, Merope, il trattato di divulgazione scientifica Elementi della filosofia di Newton.[57] In questo periodo cominciò una relazione con la nobildonna sposata Madame du Châtelet, che lo nascose nella sua casa di campagna a Cirey, nella Champagne. Nella biblioteca della Chatelet, che contava 21.000 volumi, Voltaire e la compagna studiarono Newton e Leibniz.[58] Avendo fatto tesoro dei suoi precedenti attriti con le autorità, Voltaire cominciò a pubblicare anche anonimamente per stare fuori pericolo, negando ogni responsabilità di essere l'autore di libri compromettenti. Continuò a scrivere per il teatro, e incominciò una lunga ricerca nelle scienze e nella storia. Ancora una volta, la principale fonte di ispirazione per Voltaire erano gli anni del suo esilio inglese, durante il quale era stato fortemente influenzato dalle opere di Newton. Voltaire credeva fortemente nelle teorie di Newton, in particolare per quanto riguarda l'ottica (la scoperta di Newton che la luce bianca è composta da tutti i colori dello spettro portò Voltaire a molti esperimenti a Cirey) e la gravità (Voltaire è la fonte della famosa storia di Newton e la mela caduta dall'albero, che aveva appreso dal nipote di Newton a Londra: ne parla nel Saggio sulla poesia epica).[59] Nell'autunno del 1735, Voltaire ricevette la visita di Francesco Algarotti, che stava preparando un libro su Newton.
Nel 1736 Federico di Prussia cominciò a scrivere lettere a Voltaire. Due anni dopo Voltaire visse per un periodo nei Paesi Bassi e conobbe Herman Boerhaave. Nel primo semestre del 1740 Voltaire visse invece a Bruxelles e si incontrò con Lord Chesterfield. Conobbe il libraio ed editore Jan Van Duren, che più tardi avrebbe preso a simbolo del truffatore per eccellenza, per occuparsi della pubblicazione dell'Anti-Machiavel, scritto dal principe ereditario prussiano. Voltaire visse nella Huis Honselaarsdijk, appartenente al suo ammiratore. Nel mese di settembre Federico II, asceso al trono, incontrò Voltaire per la prima volta al castello di Moyland, vicino a Cleve, e a novembre Voltaire andò al Castello di Rheinsberg per due settimane. Nell'agosto 1742 Voltaire e Federico si incontrarono a Aix-la-Chapelle. Il filosofo venne poi inviato al Sanssouci dal governo francese, come ambasciatore, per scoprire di più sui piani di Federico dopo la prima guerra di Slesia.[60]
Federico si insospettì e lo fece fermare e rilasciare dopo poco tempo; però continuerà a scrivergli lettere, una volta chiarito l'equivoco. Grazie al riavvicinamento con la corte, aiutato dall'amicizia con Madame de Pompadour, la favorita di re Luigi XV, protettrice anche di Diderot, nel 1746 fu nominato storiografo e membro dell'Académie Française, nonché Gentiluomo di camera del re; ma Voltaire, seppur apprezzato da parte della nobiltà, non incontrava affatto la benevolenza del sovrano assoluto: così, di nuovo in rotta con la corte di Versailles (che frequentò per circa due anni), avrebbe finito per accettare l'invito a Berlino del re di Prussia, che lo considerava un suo maestro.[61] Lo stesso lasso di anni fu doloroso dal punto di vista privato per il filosofo: dopo una lunga e altalenante relazione, tra ritorni e tradimenti nella coppia[62], la Châtelet lo lasciò per il poeta Saint-Lambert[63], e Voltaire rispose cominciando una relazione con la nipote Madame Denis (1712-1790), vedova, che in passato aveva tentato di sposare[64], secondo consuetudini nobiliari dell'epoca, approvate dalla Chiesa e di moda anche nella borghesia, che non consideravano incestuoso un legame tra zio e nipote.[65] La relazione con Madame Denis fu breve, anche se avrebbero convissuto platonicamente fino alla sua morte.[66] Inoltre quando, nel 1749, Madame du Châtelet, rimasta in buoni rapporti con lo scrittore, morì di complicazioni legate al parto, dando alla luce la figlia di Saint-Lambert (morta alla nascita), Voltaire l'assistette e rimase molto colpito dalla sua morte, definendola in una lettera la sua anima gemella. Poco dopo la morte di Émilie, Voltaire scriveva a un'amica: "je n'ai pas perdu une maîtresse mais la moitié de moi-même. Un esprit pour lequel le mien semblait avoir été fait" ("non ho perduto un'amante ma la metà di me stesso. Un'anima per la quale la mia sembrava fatta").[67][68]
In Prussia e Svizzera (1749–1755)
Lasciata la Francia, dal 1749 al 1752 soggiornò quindi a Berlino, ospite di Federico II, che lo ammirava, considerandosi un suo discepolo[69] e lo nominò suo ciambellano.[70] A causa di alcune speculazioni finanziarie, in cui lo scrittore era molto abile[71], nonché per i continui attacchi verbali contro lo scienziato Pierre Louis Moreau de Maupertuis, che non lo sopportava, ma che presiedeva l'Accademia di Berlino[72] e alcune divergenze di idee sul governo della Prussia, Voltaire litigò col sovrano e lasciò la Prussia[73], ma il re lo fece arrestare abusivamente, per breve tempo, a Francoforte. Dopo questo incidente, sarebbero passati molti anni prima che i loro rapporti si pacificassero, riprendendo una corrispondenza epistolare col sovrano dopo circa 10 anni.[69][74] Voltaire accentuò quindi l'impegno contro le ingiustizie in maniera particolarmente attiva, dopo l'allontanamento dalla Prussia. Impossibilitato a tornare a Parigi, poiché dichiarato persona sgradita alle autorità[75], si spostò allora a Ginevra, nella villa Les délices, finché entrò in rotta con la Repubblica calvinista, che egli aveva ritenuto erroneamente un'oasi di tolleranza, e riparò nel 1755 a Losanna, poi presso i castelli di Ferney e Tournay, da lui acquistati, dopo essersi sfogato contro i politici di Ginevra con parole rabbiose e durissime in una lettera inviata all'amico d'Alembert.[76][77]
Il patriarca di Ferney: Voltaire guida dell'illuminismo (1755–1778)
«Si c'est ici le meilleur des mondes possibles, que sont donc les autres?»
«Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?»
È di questo periodo la pubblicazione della tragedia Oreste (1750), considerata una delle opere minori del teatro di Voltaire, completata poco dopo l'abbandono della Prussia. In particolare da allora visse nel piccolo centro di Ferney, che prenderà il suo nome (Ferney-Voltaire). Qui riceveva numerose visite, scriveva e si dedicava alla corrispondenza con centinaia di persone, che in lui riconoscevano il "patriarca" dell'Illuminismo.[38][78]
Tra le persone che vennero a visitarlo a Ferney, oltre a Diderot, Condorcet e d'Alembert, vi furono James Boswell, Adam Smith, Giacomo Casanova, Edward Gibbon.[79] Nello stesso periodo cominciò la più feconda fase della produzione voltairiana, che univa l'Illuminismo e la fiducia nel progresso col pessimismo dovuto alle vicende personali e storiche (prima fra tutto il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, che minò la fiducia di molti philosophes nell'ottimismo acritico). Voltaire dedica al sisma tre opere: il Poema sul disastro di Lisbona, il Poema sulla legge naturale (scritto precedentemente ma rivisto e allegato al primo) e alcuni capitoli del Candido.[69]
Voltaire e il contrasto con Rousseau
Voltaire collaborò all'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert, alla quale partecipavano anche d'Holbach e Jean-Jacques Rousseau. Dopo un buon inizio, e un parziale apprezzamento dei philosophes per le sue prime opere, quest'ultimo si distaccò presto, per le sue idee radicali in politica e sentimentali sulla religione[80][81], dal riformismo e dal razionalismo degli enciclopedisti; inoltre Rousseau non accettava le critiche alla sua città fatte da d'Alembert e Voltaire stesso nell'articolo "Ginevra", che avrebbe scatenato nuovamente le autorità svizzere contro i due filosofi.[82] Voltaire cominciò a considerare Rousseau come un nemico del movimento, oltre che una persona incompatibile col proprio carattere (a causa della paranoia e gli sbalzi d'umore dell'autore del Contratto sociale) e, pertanto, da screditare con i suoi scritti come veniva fatto con gli anti-illuministi espliciti. In una lettera a un componente del Piccolo Consiglio di Ginevra, contraddirebbe le sue affermazioni tolleranti e assai più note, quando inviterebbe i governanti di Ginevra a condannare Rousseau con la massima severità.[83]
In realtà Voltaire rispose ad alcuni attacchi diretti proprio da Rousseau (notoriamente litigioso e che lo riteneva reo di non averlo difeso dalla censura), e che istigava i ginevrini, nella Lettere scritte dalla montagna, dopo aver affermato che Voltaire era l'autore del Sermone dei cinquanta (una scandalosa opera anonima che denunciava la falsità storica del Vangelo), di colpirlo direttamente se volevano "castigare gli empi", anziché perseguire lui stesso.
Nonostante lo stesso Voltaire gli avesse offerto ospitalità a Ferney dopo le accuse subite per l'opera Emilio, ricevette da Rousseau in cambio diverse accuse, terminando in insulti reciproci.
Voltaire dal canto suo si vendicò allora con la lettera in cui affermava che il vero "blasfemo sedizioso" era Rousseau e non lui, invitando ad agire con «tutta la severità della legge», cioè bandirne le opere "sovversive", senza tuttavia affermare esplicitamente di condannare il collega alla pena capitale.[83]
Nel pamphlet I sentimenti dei cittadini Voltaire, mettendola in bocca a un pastore calvinista, scrive una delle frasi "incriminate" («occorre insegnargli che se si punisce leggermente un romanziere empio, si punisce con la morte un vile sedizioso») e afferma che «si ha pietà di un folle; ma quando la demenza diventa furore, lo si lega. La tolleranza, che è una virtù, sarebbe in quel caso un vizio».[83][84][85]. Vi rivela, poi, alcuni fatti disdicevoli della vita di Rousseau, come la povertà in cui faceva vivere la moglie, i cinque figli lasciati all'orfanotrofio e una malattia venerea di cui soffriva.[86]
«Riconosciamo con dolore e rossore che v’è un uomo che porta ancora su di sé il marchio funesto delle sue gozzoviglie e che, travestito da saltimbanco, trascina con sé di villaggio in villaggio e di montagna in montagna l’infelice donna di cui ha fatto morire la madre e di cui ha esposto i figli alla porta di un ospizio.»
Per questo dissidio umano e intellettuale sono interessanti anche le lettere scambiate direttamente tra due filosofi: in una missiva sul Discorso sull'origine della diseguaglianza di Rousseau, in polemica col primitivismo del ginevrino, Voltaire gli scrisse che «leggendo la vostra opera viene voglia di camminare a quattro zampe. Tuttavia, avendo perso quest'abitudine da più di sessant'anni, mi è purtroppo impossibile riprenderla».[87] Dal canto suo, sentimenti contrastanti erano in Rousseau (nel 1770 sottoscrisse una petizione per innalzare a Voltaire un monumento). Già nel 1760 Rousseau aveva attaccato Voltaire a causa dell'articolo su Ginevra e per non aver preso le sue parti nel dissidio con d'Alembert:
«Io non vi voglio affatto bene Signore; voi mi avete fatto i mali di cui potevo patire di più, a me, vostro discepolo e vostro fanatico partigiano. Avete rovinato Ginevra come prezzo dell'asilo che vi avete ricevuto; (...) siete voi che mi farete morire in terra straniera (...) Vi odio, insomma, perché l'avete voluto; ma vi odio da uomo anche più degno di amarvi se voi l'aveste voluto. Di tutti i sentimenti di cui il mio cuore era compenetrato, vi resta solo l'ammirazione che non si può rifiutare per il vostro bel genio e l'amore per i vostri scritti.»
In una lettera privata del 1766 al segretario di Stato di Ginevra, Voltaire però negò che lui fosse l'autore de I sentimenti dei cittadini, probabilmente basato sulle confidenze degli ex amici di Rousseau (Diderot, Madame d'Epinay, Grimm):
«Non sono per nulla amico del signor Rousseau, dico ad alta voce ciò che penso di buono e di cattivo delle sue opere; ma, avessi fatto il torto più piccolo alla sua persona, fossi servito a opprimere un uomo di lettere, me ne sentirei troppo colpevole.»
L'intellettuale impegnato
Voltaire, in questo periodo, si impegnò anche al fine di evitare il più possibile le guerre che insanguinavano l'Europa. Egli disprezzava il militarismo e sosteneva il pacifismo e il cosmopolitismo; un appello alla pace è presente anche nel Trattato sulla tolleranza.[89] Cercò di fare da mediatore tra la Francia e la Prussia di Federico II, per evitare la guerra dei sette anni.[90][91]
Al contempo però bisogna ricordare che, nella vita privata, portava avanti lucrosi e poco onesti affari proprio nel campo dei rifornimenti all'esercito.[92] Ricco e famoso, punto di riferimento per tutta l'Europa illuminista, entrò in polemica coi cattolici per la parodia di Giovanna d'Arco in La Pulzella d'Orléans, opera giovanile riedita, ed espresse le sue posizioni in forma narrativa in numerosi racconti e romanzi filosofici, di cui il più riuscito è Candido ovvero l'ottimismo (1759), in cui polemizzò con l'ottimismo di Gottfried Leibniz. Il romanzo rimane l'espressione letteraria più riuscita del suo pensiero, contrario a ogni provvidenzialismo o fatalismo. Da qui ebbe inizio un'accanita polemica contro la superstizione e il fanatismo a favore di una maggiore tolleranza e giustizia.[69]
A questo proposito scrisse il citato Trattato sulla tolleranza in occasione della morte di Jean Calas (1763)[93][94] e il Dizionario filosofico (1764), tra le opere non narrative più importanti del periodo, che vide anche la continuazione della collaborazione con l'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert. Si dedicò anche a numerosissimi pamphlet, spesso anonimi, contro gli avversari degli illuministi.[69][95] Nel caso di Jean Calas, egli riuscì a ottenere la riabilitazione postuma del commerciante protestante giustiziato, e quella della famiglia proscritta e ridotta in miseria, arrivando a orientare la Francia intera contro la sentenza del Parlamento di Tolosa. Alla fine la vedova, sostenuta da Voltaire, si rivolse al Re, ottenendo anche l'appoggio della Pompadour, che sostenne la causa dei Calas in una lettera al filosofo.[96] Luigi XV ricevette in udienza i Calas; poi, lui e il suo consiglio privato annullarono la sentenza e ordinarono una nuova indagine, in cui i giudici di Tolosa vennero sconfessati completamente. Questo fatto segnò l'apice della popolarità e dell'influenza di Voltaire.[97]
Tra le altre opere del lungo periodo a cavallo tra la Prussia e la Svizzera, i racconti Zadig (1747), Micromega (1752), L'uomo dai quaranta scudi (1767), le opere teatrali Zaira (1732), Alzira (1736), Merope (1743), oltre il citato Poema sul disastro di Lisbona (1756). E infine, le importanti opere storiografiche Il secolo di Luigi XIV (1751), scritto durante il periodo prussiano e in cui contribuisce a rendere celebre l'enigma della famosa Maschera di Ferro, e il Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756). In una delle ultime opere prettamente filosofiche, Le philosophe ignorant (1766), Voltaire insistette sulla limitazione della libertà umana, che non consiste mai nell'assenza di qualsiasi motivo o determinazione.[98]
Rientro a Parigi e accoglienza trionfale (febbraio-maggio 1778)
La sua salute intanto cominciava a declinare, ed egli chiese di poter rientrare in patria.[99] Già amico della precedente favorita di Luigi XV, Madame de Pompadour, strinse amicizia epistolare anche con la nuova maîtresse-en-titre, Madame du Barry. Luigi XV morì nel 1774. Nel 1778 Voltaire ottenne il permesso a tornare nella capitale. Rientrato a Parigi i primi giorni di febbraio del 1778, dopo 28 anni di assenza, ricevette un'accoglienza trionfale dal popolo e dagli intellettuali, tranne che dalla corte del nuovo re, Luigi XVI, che comunque aveva acconsentito alla revoca dell'esilio, e, ovviamente, dal clero. Il 7 aprile entrò nella Massoneria, nella Loggia delle Nove Sorelle.[100][101] Assieme a lui, venne iniziato anche l'amico Benjamin Franklin.[102]
Nonostante l'ostinato rifiuto, sino alla morte, della religione cattolica e della Chiesa - Voltaire era un deista - viene sostenuta la tesi che il filosofo si sia convertito in extremis alla fede cristiana.[103] A riprova della conversione di Voltaire abbiamo uno studio dello spagnolo Carlos Valverde. Mentre le sue condizioni peggioravano, Voltaire perse lucidità, e assumeva forti dosi di oppio per il dolore.[104]. Un prete, Gauthier, della parrocchia di Saint-Sulpice, dove viveva Voltaire, venne a chiedergli una confessione di fede, perché egli non fosse sepolto in terra sconsacrata. L'unica dichiarazione scritta di suo pugno, o dettata al segretario, fu: "Muoio adorando Dio, amando i miei amici, non odiando i miei nemici, e detestando la superstizione".[105] Gauthier non la ritenne sufficiente e non gli diede l'assoluzione, ma Voltaire si rifiutò di scrivere altre confessioni di fede che sancissero il suo ritorno al cattolicesimo. Nonostante ciò, si diffusero, dopo la morte, documenti di dubbia autenticità che indicherebbero che abbia sottoscritto una professione di fede, firmata da Gauthier e dal nipote, l'abbé Mignot, anche questa però, ritenuta insufficiente, anche se più esplicita. La confessione è stata ritenuta da taluni di comodo, su sollecitazione degli amici, per avere degna sepoltura e funerali[106] oppure totalmente falsa, in quanto in contrasto con tutta la sua vita e la sua opera.[107]
Anche altri autori hanno riferito di una presunta autenticità della conversione di Voltaire[108] e su i suoi rapporti col parroco Gauthier.[109]
La conversione di Voltaire nei suoi ultimi tempi venne decisamente negata dagli illuministi, in particolare dagli anticlericali, in quanto ritenuta offuscare l'immagine di uno dei loro principali ispiratori e spesso non considerata sincera nemmeno dai cattolici.[110] Bisogna notare inoltre che anche Diderot[111] prese accordi con sacerdoti prima di morire, per poter essere decorosamente sepolto ed entrambi erano spinti con insistenza da amici e parenti, benché, come sappiamo da documenti, perlomeno Diderot non fosse davvero convertito. Anche l'ateo barone d'Holbach fu sepolto in una chiesa (accanto a Diderot stesso), avendo dovuto tenere nascoste le proprie idee in vita, per aggirare la censura e la repressione. Tutte queste analogie rendono probabile che non si trattò di vere conversioni, e che Voltaire non tornò davvero al cattolicesimo, e questo fu il motivo per cui la curia parigina oppose comunque il veto alla sepoltura, in quanto egli era morto senza assoluzione.[112][113]
Morte (maggio 1778) e vicende postume
La versione degli amici racconta che, in punto di morte, il filosofo respinse ancora il sacerdote, che avrebbe dovuto dare l'assenso alla sepoltura, e che lo invitava a confessarsi chiedendogli un'esplicita dichiarazione di fede cattolica, che Voltaire invece non voleva fare (intuendo che volesse poi venire usata a fini propagandistici): alla domanda se credeva nella divinità di Cristo, Voltaire replicò: "In nome di Dio, Signore, non parlatemi più di quell'uomo e lasciatemi morire in pace".[114][115]
Voltaire morì, probabilmente per un cancro alla prostata di cui avrebbe sofferto già dal 1773[116][117], la sera del 30 maggio 1778, all'età di circa 83 anni, mentre la folla parigina lo acclamava sotto il suo balcone.[118] La morte fu tenuta segreta per due giorni; il corpo, vestito come fosse vivo e sommariamente imbalsamato, fu portato fuori da Parigi in carrozza, come da accordi presi da madame Denis con un suo amante, un prelato che aveva acconsentito al "trucco". Il suo funerale, molto sontuoso, fu officiato dal nipote, l'abbé Mignot, parroco di Scellières, e nell'attiguo convento ebbe sepoltura lo scrittore.[119] I medici che eseguirono l'autopsia ne asportarono il cervello e il cuore (riunito anni dopo ai resti per volontà di Napoleone III[120]), forse per impedire una sepoltura "completa", dato l'ordine dell'arcivescovo di Parigi di vietare la sepoltura in terra consacrata a Voltaire, o forse, più probabilmente, per poterli conservare come reliquie laiche nella capitale; furono tumulati infatti temporaneamente nella Biblioteca nazionale di Francia e alla Comédie Française.[121] Se Voltaire era comunque morto senza perdono religioso, e la chiesa parigina gli negò ogni onore, tutti i membri della curia dove venne sepolto vollero invece celebrare una messa cantata in sua memoria, e numerose cerimonie.[120] Le proprietà e l'ingente patrimonio di Voltaire passarono, per testamento, a Madame Denis e alla sua famiglia, ossia ai nipoti dello scrittore, nonché alla figlia adottiva Reine Philiberte de Varicourt, che aveva sposato il Marchese de Villette, nella cui casa parigina Voltaire visse i suoi ultimi giorni.[122][123]
A tredici anni dalla sua morte, in piena Rivoluzione francese, il corpo di Voltaire venne trasferito al Pantheon e qui sepolto l'11 luglio 1791 al termine di un funerale di Stato di proporzioni straordinarie per grandiosità e teatralità, tanto che rimase memorabile persino il catafalco - su cui venne posto un busto del filosofo - allestito per il trasporto della sua salma. Da allora i resti di Voltaire riposano in questo luogo. Nel 1821 rischiò la riesumazione, più volte rifiutata in precedenza da Napoleone I[120], perché erano molti coloro, nel fronte cattolico, che ritenevano intollerabile la sua presenza all'interno di una chiesa, dato che il Pantheon era stato temporaneamente riconsacrato. Tuttavia re Luigi XVIII non la ritenne necessaria perché "... il est bien assez puni d'avoir à entendre la messe tous les jours." (cioè "è già punito abbastanza per il fatto di dover ascoltare la Messa tutti i giorni").[124] La tomba è vicina a quella dell'altro grande filosofo illuminista, Jean-Jacques Rousseau, il rivale di Voltaire, morto poco meno di un mese dopo (il 4 luglio), spesso fatto bersaglio fino alla fine di satire e invettive, ma nonostante questo accomunato a lui nella gloria postuma, venendo traslato al Pantheon nel 1794.[120] Si diffuse però la leggenda che i monarchici ne avessero rubato le ossa nel 1814, insieme con quelle di Rousseau, per gettarle in una fossa comune, nel luogo dove oggi sorge la facoltà di scienza dell'Università parigina di Jussieu.[125] Nel 1878 e successivamente (1898, anno della ricognizione dei sepolcri del Panthéon), tuttavia, diverse commissioni d'inchiesta stabilirono che i resti dei due grandi padri dell'Illuminismo, Jean-Jacques Rousseau e Francois-Marie Arouet detto Voltaire, si trovavano e si trovano tuttora nel Tempio della Fama di Francia.[126]
Pensiero politico
Costituzionalismo e dispotismo illuminato
Voltaire non credeva che la Francia (e in generale ogni nazione) fosse pronta a una vera democrazia: perciò, non avendo fiducia nel popolo (a differenza di Rousseau, che credeva nella diretta sovranità popolare)[127], non sostenne mai idee repubblicane e democratiche; benché, dopo la morte, sia divenuto uno dei "padri nobili" della Rivoluzione, celebrato dai rivoluzionari, è da ricordare che alcuni collaboratori e amici di Voltaire finirono vittime dei giacobini durante il regime del Terrore (tra essi Condorcet e Bailly). Per Voltaire, chi non è stato "illuminato" dalla ragione, istruendosi ed elevandosi culturalmente, non può partecipare al governo, pena il rischio di finire nella demagogia. Ammette comunque la democrazia rappresentativa e la divisione dei poteri proposta da Montesquieu, come realizzate in Inghilterra, ma non quella diretta, praticata a Ginevra.[128]
La repubblica ginevrina, che gli apparve giusta e tollerante, si rivelò un luogo di fanatismo.[38] Lontano da idee populiste e anche radicali, se non sul ruolo della religione in politica (fu un deciso anticlericale), la sua posizione politica fu quella di un liberale moderato, avverso alla nobiltà - che gli fa dubitare di un governo oligarchico - ma sostenitore della monarchia assoluta nella forma illuminata (anche se ammirava molto come "governo ideale" la monarchia costituzionale inglese) come forma di governo: il sovrano avrebbe dovuto governare saggiamente per la felicità del popolo, proprio perché "illuminato" dai filosofi[38], e garantire la libertà di pensiero.[129] Lo stesso Voltaire trovò realizzazione delle sue idee politiche nella Prussia di Federico II, apparentemente un re-filosofo, che con le sue riforme acquistò un ruolo di primo piano sullo scacchiere europeo. Il sogno del filosofo si rivelò poi inattuato, rivelando in lui, soprattutto negli anni più tardi un pessimismo di fondo attenuato dalle utopie vagheggiate nel Candido, l'impossibile mondo ideale di Eldorado, dove non esistono fanatismi, prigioni e povertà, e la piccola fattoria autosufficiente dove il protagonista si ritira per lavorare, in una contrapposizione borghese all'ozio aristocratico.[130][131]
Nelle opere successive esprime la volontà di lavorare per la libertà politica e civile, concentrandosi molto sulla lotta all'intolleranza[132], soprattutto religiosa, non appoggiandosi più ai sovrani che lo avevano deluso.[128] Non è contrario in linea di principio ad una repubblica[133][134], ma lo è nella pratica, in quanto egli, pensatore pragmatico, non vede nella sua epoca la necessità del conflitto monarchia-repubblica, che si svilupperà 11 anni dopo la sua morte con l'inizio della Rivoluzione nel 1789, ma quello monarchia-corti di giustizia (i cosiddetti "parlamenti", da non confondere con l'accezione inglese del termine, oggi usata per ogni organo legislativo), ed egli, contrario agli arbitri di tali magistrati di estrazione nobiliare, si schiera col sovrano che può essere guidato dai filosofi, mentre la riforma delle corti richiede una complicata e lunga ristrutturazione legislativa.[131][135][136] Il filosofo deve inoltre orientare la massa e spingerla per il giusto sentiero, guidarla, poiché «le leggi sono fatte dall'opinione pubblica».[137]
Sulle riforme sociali: uguaglianza, giustizia e tolleranza
«È prudenza assai maggiore assolvere due persone benché siano effettivamente colpevoli, che applicare una sentenza di condanna a una sola che sia giusta o innocente.»
La tolleranza, che va esercitata dal governante praticamente sempre (egli cita come esempio molti imperatori romani, in particolare Tito, Traiano, Antonino Pio e Marco Aurelio[139]), è il caposaldo del pensiero politico di Voltaire. Spesso gli è attribuita, con varianti, la frase "Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo". Tale citazione trova in realtà riscontro soltanto in un testo della scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall.[140] La citazione non si trova altresì in qualsivoglia opera di Voltaire.[141] La frase avrebbe origine non dalla lettera del 6 febbraio 1770 all'abate Le Riche, come spesso si dice ma da un brano delle Questioni sull'Enciclopedia[142]:
«Mi piaceva l'autore de L'Esprit [Helvétius]. Quest'uomo era meglio di tutti i suoi nemici messi assieme; ma "non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato".»
Ci sono però molte altre frasi o aforismi di Voltaire che esprimono un concetto affine a questo, con diverse parole: in una lettera sul caso Calas, allegata da Voltaire al Trattato sulla tolleranza: «La natura dice a tutti gli esseri umani: (...) Qualora foste tutti dello stesso parere, cosa che sicuramente non succederà mai, qualora non ci fosse che un solo uomo di parere contrario, gli dovrete perdonare: perché sono io che lo faccio pensare come lui pensa»[143], frase che anticipa il pensiero del liberalismo del secolo successivo[144]; «Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all'errore. Non resta dunque che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani»[145][146]; «Di tutte le superstizioni, la più pericolosa è quella di odiare il prossimo per le sue opinioni»[147]; «È cosa crudelissima perseguitare in questa vita quelli che non la pensano al nostro modo»[148]; «Ma come! Sarà permesso a ciascun cittadino di non credere che alla sua ragione e di pensare ciò che questa ragione, illuminata o ingannata, gli detterà? È necessario, purché non turbi l'ordine»[149]; e molte altre.
Contro la pena di morte e la tortura
Voltaire accolse favorevolmente le tesi del giovane illuminista italiano Cesare Beccaria sull'abolizione della tortura[150] e della pena di morte, come si evince dal commento molto positivo che fece all'opera Dei delitti e delle pene, invitando i governanti a ridurre drasticamente l'uso della prima, per poi eliminarla completamente.[151] Voltaire e Beccaria ebbero anche uno scambio epistolare. Sulla pena capitale Voltaire si oppone nettamente al suo uso e agli eccessi di violenza che la caratterizzavano; benché in certi casi possa apparire giusta, essa, alla ragione illuministica, si rivela solo una barbarie, in quanto i peggiori e incalliti criminali, anche se giustiziati, non saranno utili a nessuno, mentre potrebbero lavorare per il bene pubblico e riabilitarsi parzialmente, motivazione principale utilitaristica di Beccaria che Voltaire approva in pieno; egli considera l'ergastolo una punizione sufficiente per i delitti peggiori e violenti[152]:
«Il grande obiettivo è di servire il pubblico, e senza dubbio un uomo dedicato per tutti i giorni della sua vita a salvare una contea dalle inondazioni o a scavare dei canali per facilitare il commercio rende un servizio maggiore allo stato, che non uno scheletro che dondola da un palo, appeso con una catena di ferro.[153]»
Voltaire va anche oltre Beccaria, e considera, da un punto di vista umanitario, filantropico e giusnaturalista e in polemica con Rousseau, un arbitrio dello stato il togliere la vita, che è diritto naturale di ogni essere umano (mentre la vendetta a sangue freddo squalifica la ragione umana e lo Stato stesso, in quanto non è una legittima difesa della società, ma un accanimento), e non è nella disponibilità della legge, oltre al fatto che è possibile colpire anche innocenti, spesso senza proporzionalità:
«Quando la giustizia penale condanna un innocente è un assassinio giuridico e il più orribile di tutti. Quando si punisce con la morte un crimine che nelle altre nazioni prevede castighi più leggeri la giustizia penale è crudele e non politica. (...) è altrettanto assurdo e crudele punire le violazioni degli usi acquisiti in un paese, i delitti commessi contro l'opinione comune e coloro che non hanno fatto alcun male fisico con lo stesso supplizio col quale si puniscono i parricidi e gli avvelenatori.[153]»
Voltaire usa anche la sua arma più potente, l'ironia, unita al sarcasmo e alla derisione della superstizione popolare:
«Un impiccato non serve a nulla. Probabilmente qualche boia, ciarlatano quanto crudele, avrà fatto credere agli imbecilli del suo quartiere che il grasso dell'impiccato guarirà dell'epilessia.[153]»
Per Voltaire il crimine più orrendo che un uomo possa commettere è la pena di morte applicata per motivi religiosi o ideologici, anche mascherati da crimini comuni, come nel caso Calas, ma dettati dal puro fanatismo religioso, per cui il principio del governo deve essere la tolleranza.[94][146]
Tuttavia non si può omettere e sottoporre ad una valutazione critica il fatto che lo stesso Voltaire contraddisse questi principi di tolleranza durante il suo dissidio con Rousseau.[83]
Contro il nazionalismo e la guerra
Se l'uomo privato farà fortuna proprio con le forniture militari, in un secolo denso di guerre, nello scrittore netta è la condanna che emerge anche nei confronti del militarismo, del nazionalismo (in nome del cosmopolitismo) e della guerra fine a sé stessa[154], uno dei motivi di rottura con Federico II, esplicitato anche nei racconti filosofici.[155] Voltaire commenta con sarcasmo che
«La guerra, che riunisce tutti questi doni [carestia, peste, violenza, ndr], ci viene dall'inventiva di tre o quattrocento persone sparse sulla superficie del globo sotto il nome di prìncipi o di governanti (...) Non c'è dubbio che sia una bellissima arte, quella che devasta le campagne, distrugge le abitazioni e fa crepare, normalmente, in un anno, quarantamila uomini su centomila (...) Questo ritrovato fu usato dapprima dai popoli riuniti per il loro comune benessere… Così il popolo romano, in assemblea, giudicava che fosse nel suo interesse andare a battersi prima della mietitura contro il popolo di Veio, o contro i Volsci. E qualche anno dopo tutti i Romani, pensando d’aver ragione in una certa lite contro i Cartaginesi, si batterono a lungo per terra e per mare.»
La genesi delle guerre settecentesche è individuata nelle pretese dei potenti che accampano diritti basandosi su "prove genealogiche" remote:
«Oggi la cosa è un po’ diversa. Uno studioso di genealogie dimostra a un principe che egli discende in linea retta da un conte, i cui parenti tre o quattro secoli fa avevano fatto un patto di famiglia con una casata di cui non sussiste neppur la memoria; e questa casata aveva delle lontane pretese su una certa regione il cui ultimo possessore è morto di apoplessia. Allora il principe e il suo Consiglio concludono senza difficoltà che quella provincia appartiene a lui per diritto divino. La provincia in questione, che è a qualche centinaio di leghe di distanza, ha un bel protestare che non lo conosce, che non ha alcun desiderio di esser governata da lui, che per dar legge ad un popolo bisogna almeno avere il suo consenso: questi discorsi non arrivano nemmeno alle orecchie del principe, saldo nel suo buon diritto.»
Voltaire attacca poi l'ampio uso dei mercenari di professione:
«Egli trova immantinente un gran numero d’uomini che non ha niente da perdere: li veste d’un grosso panno blu a cento soldi il metro, orla i loro berretti con un bel filetto bianco o dorato, insegna loro a voltare a destra e sinistra e marcia con essi alla gloria. Gli altri principi che sentono parlare di questa bella impresa, subito vi prendono parte, ciascuno secondo il suo potere, e ricoprono così una piccola parte del globo di tanti assassini mercenari quanti non ne ebbero mai al loro seguito Gengis Khan, Tamerlano o Bajazet. Altri popoli lontani, sentendo dire che si sta per battersi, e che ci sono cinque o sei soldi al giorno da guadagnare per quelli che vogliono partecipare alla festa, si dividono subito in bande, come i mietitori, e vanno ad offrire i loro servigi a chiunque voglia assoldarli. E tutte queste moltitudini si accaniscono le une contro le altre, non solo senza aver nessun interesse nella faccenda, ma senza neppur sapere di che si tratta. Talvolta vi sono cinque o sei potenze belligeranti tutte insieme: tre contro tre, o due contro quattro, o una contro cinque, che si detestano ugualmente le une e le altre, si uniscono e si attaccano volta a volta, e sono tutte d’accordo in una sola cosa: di fare il maggior male che si può…»
La guerra fa emergere il peggio dell'essere umano, non ci sono eroismi o idealismi che possano reggere:
«Tutti i vizi di tutte le età e di tutti i paesi del globo riuniti assieme non uguaglieranno mai i peccati che provoca una sola campagna di guerra… La cosa più stabiliante di questa impresa infernale è che ogni capo assassino fa benedire le sue bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare a sterminare il prossimo (...) Ognuno allegramente va incontro al delitto sotto la bandiera del proprio santo (...) Filosofi moralisti, bruciate i vostri libri! Finché il capriccio di pochi uomini farà legalmente sgozzare migliaia di nostri fratelli, la parte del genere umano che si consacra all'eroismo sarà quanto c'è di più infame nell'intera natura... Che cosa diventano e che m’importano la carità cristiana, la beneficenza, la modestia, la temperanza, la mitezza, la saggezza, la fede, quando una mezza libbra di piombo tirata da mille passi mi fracassa il corpo, ed io muoio a vent’anni tra tormenti orribili, in mezzo a cinque o seimila moribondi, mentre i miei occhi, aprendosi per l’ultima volta, vedono la città dove sono nato distrutta dal ferro e dal fuoco, e gli ultimi suoni che odono le mie orecchie sono i gemiti delle donne e dei bambini che spirano sotto le rovine?»
Egli attacca frequentemente l'uso politico della religione per giustificare le guerre e le violenze, e auspica la distruzione del fanatismo religioso:
«Ci sono meno cannibali di una volta nella cristianità; questo è sempre un motivo di consolazione nell'orribile flagello della guerra, che non lascia mai respirare l'Europa vent'anni in pace. Se la guerra stessa è diventata meno crudele, il governo di ogni Stato sembra divenire ugualmente meno inumano e più saggio. I buoni scritti, pubblicati da qualche anno, sono penetrati in tutta l'Europa, malgrado dei satelliti del fanatismo che controllavano tutti i passaggi. La ragione e la pietà sono penetrate fino alle porte dell'Inquisizione. Gli atti da antropofagi che si chiamavano atti di fede, non celebrano più così spesso il Dio di misericordia alla luce dei roghi e tra i fiotti di sangue sparsi dal boia. In Spagna si incomincia a pentirsi di aver scacciato i Mori che coltivavano la terra; e se oggi si trattasse di revocare l'editto di Nantes, nessuno oserebbe proporre un'ingiustizia così funesta.»
L'eguaglianza
Per Voltaire l'eguaglianza formale è una condizione di natura, l'uomo selvaggio è libero, anche se non civilizzato. L'uomo civile è schiavo a causa delle guerre e dell'ingiustizia; l'eguaglianza sostanziale non c'è perché ognuno svolga la sua funzione, con l'esempio che egli fa, nel Dizionario filosofico, del cuoco e del cardinale,[157] in cui ognuno deve svolgere la propria attività, come è utile al momento presente, poiché così sussisterà il mondo, anche se umanamente entrambi appartengono alla stessa condizione esistenziale. Voltaire rifiuta quindi ogni soluzione rivoluzionaria. La sua soluzione, vista l'impossibilità di riformare la Francia, è quella di autoesiliarsi.
«Importa poco che taluno si chiami Sua Altezza e un altro Sua Santità. Ciò che è duro è servire l'uno e l'altro. [...] Ogni uomo, in fondo al cuore, ha il diritto di credersi interamente eguale agli altri uomini; non ne consegue che il cuoco di un cardinale debba ordinare al suo padrone di preparargli il pranzo; ma il cuoco può dire: «Sono un uomo come il mio padrone; sono nato come lui piangendo; egli morirà con le mie stesse angosce e con le stesse cerimonie. Facciamo ambedue le stesse funzioni animali. Se i turchi s’impadroniscono di Roma, e se allora io divento cardinale e il mio padrone cuoco, lo prenderò al mio servizio.» Tutto questo discorso è ragionevole e giusto; ma aspettando che il gran Turco s’impadronisca di Roma, il cuoco deve fare il suo dovere, o qualsiasi società umana è sovvertita. Quanto a colui che non è né cuoco di cardinale né riveste alcuna carica statale; quanto al privato che non deve niente a nessuno, ed è seccato d’essere ricevuto dappertutto con aria di protezione o di disprezzo, e sa bene che parecchi monsignori[158] non hanno né maggior cultura, né maggior acume, né maggiore virtù di lui, e che alla fine si stufa di fare anticamera, quale partito dovrà prendere? Quello di andarsene.»
Economicamente aderisce in parte al laissez faire liberale che muove i primi passi con l'Illuminismo, perlomeno nel richiedere la libertà del commercio dal controllo statale; tuttavia, egli non è un liberista come Adam Smith.[38] Riteneva infatti che lo Stato potesse intervenire in favore dell'industria, dell'economia e dei cittadini anche facendo ricorso al debito pubblico ("qualsiasi Stato che prende soldi in prestito dal suo popolo non è più povero per questo"). Voltaire crede inoltre che il lusso, quando non è un mero spreco, faccia bene all'economia e alla società, rendendo tutti più prosperi e aumentando la sensazione di benessere generale.[159]
Politicamente, invece, il suo pensiero non aderisce al liberalismo democratico poiché ancora legato ad una concezione oligarchica e gerarchica della società, come si evince ad esempio da questo passaggio: «Lo spirito di una nazione risiede sempre nel piccolo numero che fa lavorare il gran numero, ne è nutrito e lo governa.»[160].
Pensiero filosofico
Voltaire e il Regno Unito
Tra le esperienze più significative del Voltaire intellettuale sono certamente da annoverare i viaggi, quello nei Paesi Bassi e soprattutto quello nel Regno Unito; qui il giovane parigino vide praticare attivamente la tolleranza religiosa e la libertà di espressione di idee politiche, filosofiche e scientifiche. Al suo spirito insofferente di ogni repressione assolutistica e clericale (anche perché reduce dall'esperienza nelle rigide scuole dei gesuiti) il Regno Unito appare come il simbolo di una forma di vita illuminata e libera.[38]
Immerso nello studio della cultura anglosassone, Voltaire rimane accecato dalle luminose e rivoluzionarie dottrine scientifiche di Newton e dal deismo e l'empirismo di John Locke. Egli trae, da questo incontro con la filosofia del Regno Unito, il concetto di una scienza concepita su base sperimentale intesa come determinazione delle leggi dei fenomeni e il concetto di una filosofia intesa come analisi e critica dell'esperienza umana nei vari campi.[38] Nacquero così le Lettres sur les anglais o Lettres philosophiques (1734) che contribuirono ad allargare l'orizzonte razionale europeo ma che gli attirarono addosso i fulmini delle persecuzioni.[38]
Le Lettres vengono condannate, per quanto riguarda i princìpi religiosi, da coloro che sostenevano la necessità politica dell'unità di culto; dal punto di vista politico, esse, esaltando l'onorabilità del commercio e la libertà, si opponevano spudoratamente al tradizionalistico regime francese, e dal lato filosofico, in nome dell'empirismo, tentavano di svincolare la ricerca scientifica dall'antica subordinazione alla verità religiosa.[38] Il programma filosofico di Voltaire si delineerà in maniera più precisa successivamente con il Traité de métaphisique (1734), la Métaphisique de Newton (1740), Remarques sur les pensées de Pascal (1742), il Dictionnaire philosophique (1764), il Philosophe ignorant (1766), per citare i più importanti.
Non mancano tuttavia nelle sue opere accenti critici contro gli inglesi.[161].
La religione naturale e l'anticlericalismo
«L'universo mi imbarazza, e non posso fare a meno di riflettere / che se esiste un tale orologio debba esistere un orologiaio»
Il problema che Voltaire principalmente si pone è l'esistenza di Dio, conoscenza fondamentale per giungere a una giusta nozione dell'uomo. Il filosofo non la nega, come alcuni altri illuministi che si dichiaravano atei (il suo amico Diderot, D'Holbach e altri) perché non trovavano prova dell'esistenza di un Essere Supremo, ma nemmeno, nel suo razionalismo laico, assume una posizione agnostica. Egli vede la prova dell'esistenza di Dio nell'ordine superiore dell'universo, infatti così come ogni opera dimostra un artefice, Dio esiste come autore del mondo e, se si vuole dare una causa all'esistenza degli esseri, si deve ammettere che sussiste un Essere creatore, un Principio primo, autore di un Disegno intelligente.[162]
«[Un modo] per acquisire la nozione di "essere che dirige l'universo" è considerare il fine al quale ogni essere appare essere diretto. Quando vedo un orologio con una lancetta che segna le ore, concludo che un essere intelligente ha progettato la meccanica di questo meccanismo così che appunto la lancetta segni le ore. Perciò, quando vedo il meccanismo del corpo umano, concludo che un essere intelligente ha progettato questi organi per essere nutriti all'interno del ventre materno per nove mesi; gli occhi per vedere, le mani per afferrare e così via. Ma da simile argomento, non posso concludere nient'altro, a parte per il fatto che sia probabile che un essere intelligente e superiore ha preparato e dato forma alla materia con abilità; non posso concludere da tale argomento e basta che questo essere ha creato la materia dal nulla o che è infinito in qualsiasi senso s'intenda. A ogni modo cerco con intensità dentro alla mente mia la connessione tra le seguenti idee — "è probabile che io sia il prodotto di un essere più potente di me stesso, quindi questo essere è eterno, quindi ha creato tutto quanto, quindi è infinito e così via." — Non riesco a intravedere il filo che porti direttamente a quella conclusione. Posso solo constatare che v'è qualcosa di più potente di me stesso, e nient'altro.»
Il deismo come credo universale
La sua posizione fu pertanto deista, come già accennato:
«Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, ma tutta la natura ci grida che esiste.»
Dunque Dio esiste e sebbene abbracciando questa tesi si trovino molte difficoltà, le difficoltà che si pongono abbracciando l'opinione contraria sarebbero ancora maggiori, vivendo Voltaire in un'epoca in cui le leggi dell'evoluzione non erano ancora scoperte e l'alternativa al deismo era l'eternità della "materia", che comunque è un principio originale. Il Dio di Voltaire non è il dio rivelato, ma non è neanche un dio di una posizione panteista, come quella di Spinoza. È una sorta di Grande Architetto dell'Universo, un orologiaio autore di una macchina perfetta (tra l'altro, gli orologi erano una passione di Voltaire, che si dedicava alla costruzione di essi a Ferney). Voltaire non nega una Provvidenza, ma non accetta quella di tipo cristiano, ossia non accetta una provvidenza che sia contemporaneamente buona e onnipotente non aderendo alle risposte leibniziane sul problema del male (come ampiamente spiegato nel Candido);[163] secondo le sue convinzioni (come quelle di molti del suo tempo), l'uomo nello stato di natura era felice, avendo istinto e ragione, ma la civiltà ha contribuito all'infelicità: occorre quindi accettare il mondo così com'è, e migliorarlo per quanto è possibile. Aveva contribuito a queste sue convinzioni lo studio di Newton, conosciuto, come detto, nel periodo inglese[164]: la cui scienza, pur rimanendo estranea, in quanto filosofia matematica, alla ricerca delle cause, risulta strettamente connessa alla metafisica teistica, implicando una razionale credenza in un Essere Supremo (Être Supreme, a cui si ispirerà vagamente il Culto della Ragione di Robespierre).[165]
Voltaire inoltre è spinto dalla censura, specialmente in alcune opere che egli voleva fossero a larga diffusione, fuori dall'ambiente accademico ed enciclopedico dei philosophes, a non mettere troppo in dubbio il cristianesimo e il concetto di divinità tradizionale, onde convincere i propri interlocutori: ad esempio nel Trattato sulla tolleranza, in cui spesso fa riferimento ai Vangeli o al cattolicesimo, sapendo di dover convincere - in primo luogo i giuristi cattolici - a riaprire il caso Calas, senza quindi entrare troppo in urto con la Chiesa e la fede diffusa.[166]
Voltaire crede comunque in un Dio che unifica, Dio di tutti gli uomini: universale come la ragione, Dio è di tutti.[167][168][169]
Come altri pensatori-chiave del periodo si considera espressamente un deista/teista[170], esprimendosi così: «Cos'è la fede? È credere in qualcosa di evidente? No. Alla mia mente è perfettamente evidente l'esistenza di un necessario, eterno, supremo, e intelligente Essere. Questa non è materia di fede, ma di ragione».[171][172] Questa concezione assomiglia a quella del Dio impersonale/Logos degli stoici, di Cicerone e dei platonici, e in generale di quasi tutta la filosofia antica.[173]
Utilità filosofica del deismo all'epoca di Voltaire
Il deismo di Voltaire comunque si rifiuta di ammettere qualsiasi intervento di Dio nel mondo umano, ed è restio, soprattutto dopo il terremoto di Lisbona, ad ammettere l'esistenza di una vera e propria Divina Provvidenza.[174][175] Il Supremo ha solo avviato la macchina dell'universo, senza intervenire ulteriormente, come gli dei di Epicuro, dunque l'uomo è libero, ovvero ha il potere di agire, anche se la sua libertà è limitata[176]; il filosofo può comunque rivolgersi all'Essere supremo, anche per incitare alla tolleranza gli uomini che leggeranno.[177][178]
Anche il naturalista Buffon, pre-evoluzionista, la condivide, e sarà invece Diderot a staccarsene gradualmente dopo che i semi dell'evoluzionismo cominciano a diffondersi (anche se sarà solo nel XIX secolo con Charles Darwin che nascerà ufficialmente il concetto di selezione casuale delle specie).[179] All'epoca della formazione culturale di Voltaire, la maggioranza dei razionalisti ammettevano la divinità come garante di ordine morale e "motore immobile" dell'universo e della vita, in quanto pareva una spiegazione più semplice del materialismo ateo, propugnato ad esempio da Jean Meslier e da d'Holbach, in senso completamente meccanicista e determinista, e più cautamente da Diderot. Voltaire accetta l'idea teologica di Newton, John Locke e David Hume, per cui, se in certi frangenti è difficile credere, è comunque un'idea accettabile, allo stato delle conoscenze dell'epoca. Solo con la scoperta dell'evoluzione darwiniana e la teoria cosmologica del Big Bang, questa molto successiva a Voltaire, molti scienziati e filosofi razionalisti abbandoneranno il deismo per l'agnosticismo e lo scetticismo.[180].
Voltaire critica razionalmente anche i testi biblici, mettendo in dubbio la storicità e la validità morale di gran parte dei testi. Il suo approccio generale è ispirato a quello di alcuni riformatori come i sociniani, ma l'attitudine profondamente scettica del pensatore francese lo separa però sia da Locke sia dai teologi unitariani come appunto Fausto Socini, oltre che da Rousseau, deista tendente al calvinismo, e sostenitore di una religione civile "imposta" per legge, cioè religione di Stato, che invece Voltaire considera inutile e ingiusta, se ciò genera oppressione e violenza verso altri culti.[181]
La polemica anticlericale e anticattolica
«Écrasez l'Infâme[182]»
«Schiacciate l'infame»
Obiettivo principale di Voltaire e di tutto il suo pensiero, o, se si vuole, la missione della sua vita, è l'annientamento della Chiesa cattolica (che lui chiama l'infame, anche se utilizza questo termine con riferimento a ogni spiritualità forte, che senza mezzi termini ritiene semplicemente fanatismo religioso)[183]. Egli infatti tenta di demolire il cattolicesimo per proclamare la validità della religione naturale.[184] In una lettera a Federico II del 1767, scrive riferendosi al cattolicesimo: "La nostra [religione] è senza dubbio la più ridicola, la più assurda e la più assetata di sangue mai venuta a infettare il mondo".[185]
La sua fede nei principi della morale naturale mira a unire spiritualmente gli uomini al di là delle differenze di costumi e di usanze. Proclama quindi la tolleranza contro il fanatismo e la superstizione (che stanno «alla religione come l'astrologia all'astronomia»[147]) nel Trattato sulla tolleranza (1763), nonché la laicità tramite molti scritti anticlericali: uno dei suoi obiettivi è la completa separazione tra Chiesa e Stato, ad esempio con l'istituzione del matrimonio civile.[186] Voltaire era solito firmare la fine delle sue lettere con Écrasez l'infame (schiacciate l'infame); in seguito lo abbreviò con Ecr. L'inf..[187] Per liberare le religioni positive da queste piaghe è necessario trasformare tali culti, compreso il cristianesimo, nella religione naturale, lasciando cadere il loro patrimonio dogmatico e facendo ricorso all'azione illuminatrice della ragione.[150]
Dal cristianesimo primitivo Voltaire accetta alcuni insegnamenti morali,[188] ovvero la semplicità, l'umanità, la carità, e ritiene che voler ridurre questa dottrina alla metafisica significa farne una fonte di errori. Più volte infatti il parigino, elogiando la dottrina cristiana predicata da Cristo e dai suoi discepoli (anche se dubita della veridicità dei racconti evangelici), addebiterà la degenerazione di questa in fanatismo, alla struttura che gli uomini, e non il Redentore, hanno dato alla chiesa.[189] Il Cristianesimo, se vissuto in maniera razionale, senza dogmi, riti, miracoli, clero e fede cieca, nel pensiero di Voltaire coincide con la legge di natura.[169][190]
Contro il cristianesimo moderno e la concezione materialistica
Voltaire porta avanti una doppia polemica, contro l'intolleranza e la sclericità del cattolicesimo, e contro l'ateismo e il materialismo[191], sebbene gran parte della sua speculazione parta da elementi materiali.[192] «Voltaire non si sente l'animo di decidersi né per il materialismo né per lo spiritualismo. Egli ripete spesso che "come non sappiamo che cosa sia uno spirito, così ignoriamo cosa sia un corpo"».[193]
Il filosofo dirà che "l'ateismo non si oppone ai delitti ma il fanatismo spinge a commetterli"[191], anche se concluderà poi che essendo l'ateismo quasi sempre fatale alle virtù, in una società è più utile avere una religione, anche se fallace, che non averne nessuna. È principalmente un problema etico, sulla religione come instrumentum regnii, e come coscienza del popolo e del re,[194] oltre che l'utilizzo della nozione di Dio come una sorta di "motore primo" della creazione.[195] Voltaire crede che la colpa non sia però degli atei espliciti e convinti (ed è molto più sfumato nei giudizi verso il generico panteismo o l'irreligiosità), ma delle religioni rivelate, principalmente del cristianesimo, che, rendendo odioso il loro Dio, hanno spinto a negarlo del tutto.[191] La religione razionale può essere utile a mantenere l'ordine nel popolo ignorante, come già ricordava Niccolò Machiavelli, che pure non vi credeva.[196] La superstizione è ritenuta sbagliata e ridicola, a meno che non serva a evitare che il popolo divenga intollerante e ancora più dannoso; Voltaire teme difatti, come un superstizioso intollerante, anche un ateo violento e intollerante, affermando che l'ateo morale (di cui parla invece d'Holbach), è cosa molto rara. Fa anche l'esempio delle religioni e delle credenze pagane, che spesso svolgevano una funzione morale ed erano personificazioni di principi e comportamenti, pur essendo ridicole anch'esse agli occhi di un filosofo. Afferma che "Les lois veillent sur les crimes connus, et la religion sur les crimes secrets" (la legge vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti).[147]
Non solo il cristianesimo, soprattutto il cattolicesimo, ma ogni religione rivelata, è solo una superstizione inventata dall'uomo, ed è ormai troppo corrotta perché si possa recuperare in pieno.[197][198] Secondo il giornalista cattolico Vittorio Messori l'antipatia di Voltaire per la chiesa cattolica era manifesta e costante: nel 1773 egli si spinse ad affermare la vicina fine del Cristianesimo:[199]
«Nella cultura nuova, non ci sarà futuro per la superstizione cristiana. Io vi dico che, tra vent'anni, il Galileo sarà spacciato»
Quasi ironicamente, la casa parigina di Voltaire divenne un deposito della Società Biblica protestante di Francia.[200] Voltaire attacca anche, nelle sue opere, l'Islam e altri culti non cristiani, ad esempio in Maometto ossia il fanatismo e in Zadig. Per spiegare il male, Voltaire afferma che accade per colpa dell'uomo, che combatte guerre e cede a fanatismo e violenza o è insito nella natura delle cose, ma il progresso e il lavoro umano lo attenuerà per quanto possibile.[201][202] Del resto, scrive, "sarebbe strano che tutta la natura, tutti gli astri obbedissero a delle leggi eterne, e che vi fosse un piccolo animale alto cinque piedi che, a dispetto di queste leggi, potesse agire sempre come gli piace solo secondo il suo capriccio". Sull'immortalità dell'anima e sull'esistenza di una vita dopo la morte, invece, Voltaire è più ambiguo, e mantiene una posizione di agnosticismo, evitando di pronunciarsi esplicitamente su questo argomento.[203]
Degna di menzione è la polemica che Voltaire porterà avanti contro Blaise Pascal, che diventerà soprattutto polemica contro l'apologetica e il pessimismo cristiano in genere. Voltaire dice di prendere le difese dell'umanità contro quel "misantropo sublime", che insegnava agli uomini a odiare la loro stessa natura. Più che con l'autore delle Provinciales, egli dice di scagliarsi contro quello dei Pensées, in difesa di una diversa concezione dell'uomo, del quale sottolinea piuttosto la complessità dell'animo, la molteplicità del comportamento, affinché l'uomo si riconosca e si accetti per quello che è, e non tenti un assurdo superamento del suo stato.[204]
In conclusione si può asserire che entrambi i filosofi riconoscono che l'essere umano per la sua condizione è legato al mondo, ma Pascal pretende che egli se ne liberi e se ne distolga, Voltaire vuole che la riconosca e l'accetti: era il mondo nuovo che si scagliava contro il vecchio.[204]
Etica e animali
Tra gli argomenti polemici di Voltaire vi è un deciso attacco all'idea teologica della differenza essenziale e sovrannaturale fra l'essere umano e gli animali e della superiorità di diritto divino da parte dell'uomo nei confronti dell'intera natura.[205] Partendo da questa critica, lo scrittore condanna la vivisezione e i tormenti inflitti agli animali d'allevamento, mostrando simpatia per il vegetarismo dei pitagorici, di Porfirio e di Isaac Newton.[205] La questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarismo è affrontata da Voltaire in parecchie opere, dagli Elementi della filosofia di Newton al Saggio sui costumi (nel capitolo sull'India), e anche in Zadig, nel Dizionario filosofico[206] in La principessa di Babilonia e specialmente nel Dialogo del cappone e della pollastrella.[205]
Voltaire – che può essere considerato, sotto questo aspetto, un precursore di Jeremy Bentham[207] – pone aspramente in discussione le posizioni cartesiane che riducevano l'animale ad una macchina senza coscienza. Nel Dizionario filosofico[208] , egli sottolinea quale vergogna sia stata «aver detto che le bestie sono macchine prive di coscienza e sentimento»[209] e, rivolgendosi al vivisettore che seziona un animale nella più assoluta indifferenza, gli chiede: «tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento affinché egli non senta?».[209]
Voltaire e la storiografia umana
«Cosa ha prodotto dunque il sangue di tanti milioni di uomini, il saccheggio di tante città? Nulla di grande, nulla di considerevole (...) quasi tutta la Storia non è che una lunga sequenza di inutili atrocità»
Voltaire fu uno dei più celebri storici del suo secolo.[210] Le concezioni filosofiche di Voltaire sono inscindibili dal suo modo di fare storia. Infatti egli vuole trattare questa disciplina da filosofo, cioè cogliendo al di là della congerie dei fatti un ordine progressivo che ne riveli il significato permanente.
Dalle sue grandi opere storiche (Historie de Charles XII del 1731, Les siècle de Louis XIV del 1751, Essai sur les moeurs et l'esprit des nations del 1754-1758), nasce una storia "dello spirito umano", ovvero del Progresso inteso come il dominio che la ragione esercita sulle passioni, nelle quali si radicano i pregiudizi e gli errori, infatti l'Essai presenta sempre come incombente il pericolo del fanatismo. La filosofia della storia di Voltaire inaugura, dopo il precursore Giambattista Vico, il cosiddetto "storicismo", per cui la realtà è storia, calata nel suo contesto, e immanenza.[211]
La storia non è più orientata verso la conoscenza di Dio, problema filosofico, non è questo lo scopo dell'uomo, il quale deve invece dedicarsi a capire e a conoscere sé stesso fino a che la scoperta della storia si identifichi con la scoperta dell'uomo. La storia è diventata storia dell'Illuminismo, del rischiaramento progressivo che l'uomo fa di sé stesso, della progressiva scoperta del suo principio razionale. A volte, però, sacrifica la perfetta veridicità, come quando applica la filosofia alla storia, per semplificare alcuni concetti e renderli chiari.[212][213]
L'India come culla dell'umanità
Il modello antropologico di fondo dell'orientalismo settecentesco, ripreso poi da Diderot, può inoltre essere ben percepito nell′Essai sur les mœurs di Voltaire. In questa "storia universale" - così infatti si intitolava una versione precedente del Essai che l'autore aveva scritto - Voltaire scosse l'establishment clericale e accademico ponendo la Cina, e soprattutto l'India, a capo della sua cronologia, con gli ebrei (tradizionalmente posti all'origine della cronologia sacra della storia) ben dietro.[214] Voltaire infatti presentò l'India e la Cina come le prime civiltà avanzate del mondo antico e, aggiungendo al danno la beffa, suggerì che gli ebrei non solo succedettero a delle civiltà precedenti, ma anche che le avevano copiati: «Gli ebrei hanno copiato tutto da altre nazioni».[215] Voltaire diffuse queste affermazioni eterodosse anche nei suoi Contes.[216] e nelle critiche agli ebrei contenute nel Dizionario filosofico.
Secondo il filosofo di Ferney, i progenitori di tutte le conoscenze erano soprattutto gli Indiani: «Sono convinto che tutto provenga dalle rive del Gange, l'astronomia, l'astrologia, la metempsicosi etc...».[217] Questa ipotesi era particolarmente seduttiva, perché poteva essere estesa agli aspetti più sofisticati della cultura umana, vale a dire, ad esempio, le scienze. In qualità di storico, approfondì anche le convinzioni religiose, come il buddhismo, degli asiatici.
Voltaire e l'astronomo francese Jean Sylvain Bailly ebbero un vivace scambio epistolare che fu pubblicato dallo stesso Bailly nelle Lettres sur l'origine des sciences. Bailly, pur apprezzando l'ipotesi di Voltaire, cerca comunque di confutarla per propugnare la sua tesi di un antichissimo popolo nordico progenitore dell'umanità, secondo la propria concezione della storia.
Secondo lo storico David Harvey, «sebbene colpito dalla storia dell'astronomia di Bailly, Voltaire era ben poco convinto dalla sua pretesa delle origini nordiche della scienza».[218] Dichiarando di essere «convinto che ogni cosa sia giunta a noi dalle sponde del Gange» Voltaire rispose che i Brahmani «dimorando in un clima incantevole e al quale la natura aveva donato tutti i suoi doni, dovevano, mi sembra, avere più tempo libero per contemplare le stelle rispetto ai Tartari e agli Uzbeki» facendo riferimento ai territori, quelli della Scizia e del Caucaso, che secondo Bailly avevano ospitato quella sconosciuta civiltà avanzata di cui parlava.[219] Al contrario, sosteneva che «la Scizia non ha mai prodotto nulla, se non le tigri, capaci solo di divorare i nostri agnelli» e chiese ironicamente a Bailly: «È credibile che queste tigri siano partite dalle loro terre selvagge con quadranti e astrolabi?».[220] Lo storico Rolando Minuti ha notato che le «metafore zoomorfe» erano centrali nella rappresentazione di Voltaire dei popoli "barbari" del Asia centrale, e gli servivano, all'interno della sua macro-narrativa sull'origine della civiltà, per giustapporre la natura distruttiva e animalesca dei popoli nomadi con la coltivazione delle arti e delle scienze dalle civiltà urbane originarie del Gange, dipingendo le prime come «le antagoniste storiche della civilizzazione».[221] Questa concezione dell'India come origine della civiltà avrà molta fortuna nel XIX secolo, essendo ripresa anche da Arthur Schopenhauer.
Il reale e l'ironia voltairiana
Shaftesbury disse che "non c'è miglior rimedio del buon umore contro la superstizione e l'intolleranza e nessuno mise in pratica meglio di Voltaire questo principio"; infatti "il suo modo di procedere si avvicina a quello di un caricaturista, che è sempre vicino al modello da cui parte, ma attraverso un gioco di prospettive e di proporzioni abilmente falsate, ci dà la sua interpretazione". Per Voltaire, nonostante ci sia sempre del buono che ha impedito la totale autodistruzione del genere umano, lungo la storia e nel presente si vedono enormi ingiustizie e tragedie, e l'unico modo per affrontare il male con lucidità, è quello di riderne, anche cinicamente, tramite un umorismo che ridicolizzi l'ottimismo consolatorio e teorico, scaricando attraverso l'ironia e la satira, fiorente nel Settecento, la tensione emotiva, anziché dirottarla sul sentimento, come faranno i romantici.[222]
L'umorismo, l'ironia, la satira, il sarcasmo, l'irrisione aperta o velata, sono da lui adoperati di volta in volta contro la metafisica, la scolastica o le credenze religiose tradizionali. Ma talvolta, questo semplicizzare ironicamente certe situazioni, lo porta a trascurare o a non cogliere aspetti molto importanti della storia.[223][224]
«Forse Voltaire pensò che l'umanità non merita un'analisi più complessa. È probabile che non si sbagliasse.»
Tra avventura e stabilità
Nel suo libro Storia dell'Impero russo sotto Pietro il Grande emerge una delle molte facce di Voltaire, predicatore della tolleranza e del teismo, in contrasto con il materialismo di Holbach e degli enciclopedisti, poeta epico, ironico, avventuroso e, in questo caso, costruttivo. Là dove il giovane Voltaire nella Storia di Carlo XII, figura intorno alla quale Heidenstam scriverà la Karolinerna, mostra il fascino verso l'eroismo e la bellezza, nella sua maturità lo stesso Carlo XII[225] viene messo accanto a Pietro il Grande e Voltaire «rinnega quell'entusiasmo e quella simpatia; di qui il costante parallelo tra il re sognatore che ha trascinato la patria in una folle avventura conclusa con una grande rovina, e lo zar che lentamente, pietra su pietra, ha creato la grandezza moscovita».[226]
Accuse di razzismo, eurocentrismo e altre critiche
La filosofia, per Voltaire, deve essere lo spirito critico che si oppone alla tradizione per discernere il vero dal falso, bisogna scegliere tra i fatti stessi i più importanti e significativi per delineare la storia delle civiltà. In conseguenza Voltaire non prende in considerazione i periodi oscuri della storia, ovvero tutto ciò che non ha costituito cultura secondo l'Illuminismo, ed esclude dalla sua storia "universale" i popoli barbari, che non hanno apportato il loro contributo al progresso della civiltà umana.
Per di più, Voltaire era uno dei pochi sostenitori del poligenismo nel XVIII secolo, affermando che Dio ha creato separatamente gli uomini di "razze" o "specie" diverse. Nel XX e XXI secolo, alcuni storici hanno legato il poligenismo filosofico di Voltaire ai suoi investimenti materiali nel commercio coloniale, ad esempio nella Compagnia francese delle Indie orientali.[227][228]
Emblematici, tra i passi di certa attribuzione, alcune tesi del Trattato di Metafisica (1734)[229], in cui chiaramente esprime la sua tesi sull'inferiorità della razza "negra", che avrebbe avuto origine da amplessi tra uomini e scimmie, riprendendo le tesi di molti scienziati dell'epoca; allo stesso modo come altri riteneva anormale l'omosessualità: nel Dizionario filosofico si esprime contro la pederastia, chiamata "amore socratico"[230] (d'altro canto ebbe rapporti di amicizia, seppur burrascosi e intervallati da clamorosi litigi, con Federico II, che lo stesso Voltaire considerava avesse un orientamento omosessuale[231]); afferma anche l'inferiorità degli africani rispetto a scimmie, leoni, elefanti oltre che agli uomini bianchi. Espresse anche, pur deridendo e criticando spesso i gesuiti per il loro presunto regno in Paraguay, un'opinione parzialmente positiva delle riduzioni, dove la compagnia istruiva e armava gli indios, in quanto così li sottraeva allo schiavismo, anche se asservendoli ad una teocrazia che eliminava il "buon selvaggio", in cui, peraltro, Voltaire non aveva molta fiducia, a differenza di Rousseau, anche se considerava gli uomini non contaminati come "migliori" e naturali, e non malvagi in origine, così come innocenti sono nell'infanzia.[232][233]
Sullo schiavismo
Nel Saggio sui costumi afferma di considerare gli africani inferiori intellettualmente, motivo per cui sono ridotti "per natura" in schiavitù, poiché, aggiunge, «un popolo che vende i propri figli è moralmente peggiore di uno che li compra».[142][234]
Il giornalista cattolico Francesco Agnoli riporta che Voltaire nel Trattato sulla metafisica (1734) e nel Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756), afferma che, checché ne dica «un uomo vestito di lungo e nero abito talare (il prete, ndr), i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo stesso uomo» (poligenismo). Prosegue situando i negri nel gradino più basso della scala, definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i neri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche».[235]. La stessa posizione è sostenuta dallo scrittore apologeta cattolico Vittorio Messori nel volume Qualche ragione per credere.[236] Spesso queste prese di posizione si trovano ripetute nella pubblicistica di area cattolica, anche contemporanea.[237]
Maurizio Ghiretti, riprendendo Leon Poliakov[238], ricorda anche che Voltaire è "azionista di una compagnia che commercia schiavi neri", e forse proprio in uno di questi traffici si trova beffato due volte da bianchi-usurai ebrei. Anche secondo un articolo della Société Voltaire, Voltaire investì direttamente 1000 sterline sulla nave Saint-Georges, partita nel 1751 alla volta di Buenos Aires, con scalo nel golfo della Guinea, un investimento che comprendeva quindi la tratta dei negri verso le Americhe[239].
Altri scrittori del XIX secolo come Jean Ehrard[240][241][242] riportano che Voltaire tenne corrispondenza con i negrieri, anche se Domenico Losurdo ricorda che fu John Locke a possedere azioni in una compagnia schiavista e non Voltaire.[243]
Storici sia neutrali sia filo-illuministi giudicano tali affermazioni delle "leggende metropolitane" diffuse da falsari anti-illuministi e filo-clericali ottocenteschi[244], in particolare la presunta lettera dove Voltaire si complimenta con un armatore negriero di Nantes, non si trova nell'epistolario o nelle carte di Voltaire ma solo in un'opera del 1877 del falsario Jacquot[245]. Esiste invece una lettera di Voltaire indirizzata all’armatore Montadouin, datata 2 giugno 1768, in cui il filosofo ringrazia l’armatore per aver dato il suo nome ad un vascello.[246]
Come prova del fatto che Voltaire non fosse d'accordo con queste pratiche vengono portati anche alcuni passaggi dei suoi scritti in cui attacca la tratta degli schiavi e l'uso della schiavitù: nel Commentaire sur l'Esprit des lois (1777) elogia Montesquieu per aver «chiamato obbrobrio questa odiosa pratica», mentre nel 1769 aveva espresso entusiasmo per la liberazione dei propri schiavi effettuata dai quaccheri, nelle Tredici Colonie dell'America del Nord.[142]. Inoltre Voltaire depreca la crudeltà e gli eccessi dello schiavismo nel capitolo XIX di Candido, in cui fa parlare delle sue disgrazie uno schiavo nero, il quale viene mostrato avere una mente razionale, umana e niente affatto "bestiale", mentre il protagonista Candido simpatizza decisamente per lui.
«Avvicinandosi alla città s'incontrarono in un negro disteso in terra, che non aveva che la metà del suo abito, cioè un par di braghe di tela azzurra; mancava a questo povero uomo la gamba sinistra, e la mano dritta. - Mio dio! gli dice Candido, che fai tu là, amico, in questo stato orribile in cui ti vedo? - Attendo il mio padrone il signor Vanderdendur il famoso negoziante, risponde il negro. - E questo signor Vanderdendur, dice Candido, ti ha conciato così? - Sì, signore, risponde il negro, quest'è l'uso: ci vien dato un par di brache di tela per vestito due volte l'anno: quando lavoriamo alle zuccheriere, e che la macina ci acchiappa un dito, ci si taglia la mano; quando vogliam fuggire ci si taglia la gamba; a questo prezzo voi mangiate dello zucchero in Europa. Intanto, allorchè mia madre mi vendè per dieci scudi patacconi sulla costa di Guinea, ella mi diceva: figliuol mio, benedici i nostri feticci, adorali tutti i giorni, essi ti faran vivere fortunato; tu hai l'onore d'essere schiavo de' nostri signori i bianchi, e tu fai la fortuna di tuo padre e di tua madre. Ah! io non so se ho fatto la lor fortuna, so bene che essi non han fatto la mia: i cani, le scimmie, i pappagalli son mille volte meno disgraziati di noi. I feticci olandesi che mi han convertito, mi dicon tutte le domeniche che noi siamo tutti figli d'Adamo, bianchi e neri; io non sono genealogista, ma se quei predicatori dicono il vero noi siam tutti fratelli cugini; or voi converrete che non si possono usare tra parenti trattamenti più orribili. - O Pangloss! grida Candido, tu non avevi pensato a questa abominevole circostanza; ed è pur cosa di fatto; bisognerà finalmente che io rinunzii al tuo ottimismo. - Che cos'è quest'ottimismo? dice Cacambo. - Ah, risponde Candido, è la maniera di sostenere che tutto va bene quando si sta male. Intanto versava lagrime riguardando il negro, e piangendo entrò in Surinam.»
Nel finale del Trattato sulla tolleranza (1763), rivolgendosi a Dio, Voltaire scrive al proposito dell'uguaglianza fra gli uomini:
«Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda; fa' che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa' sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati "uomini" non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione. (...) Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! (...) Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace, ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.»
Le posizioni di Voltaire su temi oggi detti di "politicamente corretto" continuano a fare discutere, anche a riguardo i cosiddetti movimenti di cancel culture.[247]
Ebraismo
Voltaire è un convinto antigiudaico. Alcuni brani del Dizionario filosofico non sono affatto teneri verso gli ebrei:
«Article "Anthropophage" :"Pourquoi les Juifs n'auraient-ils pas été anthropophages ? C'eût été la seule chose qui eût manqué au peuple de Dieu pour être le plus abominable peuple de la terre." Article «Juifs» :"Vous ne trouverez en eux qu'un peuple ignorant et barbare, qui joint depuis longtemps la plus sordide avarice à la plus détestable superstition et à la plus invincible haine pour tous les peuples qui les tolèrent et qui les enrichissent. Il ne faut pourtant pas les brûler."»
«"Antropofago": Perché i giudei non sarebbero stati antropofagi? Questa fu la sola cosa che mancò al popolo di Dio per essere il più abominevole popolo della terra.[248]
"Giudei": Voi non troverete in essi che un popolo ignorante e barbaro, che raggiunse dopo lungo tempo la più sordida avarizia e la più detestabile superstizione e il più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono. Ma non per questo bisogna mandarli al rogo.[249]»
Sempre nella stessa voce:
«Sono l'ultimo di tutti i popoli fra i musulmani e i cristiani, ma credono di essere il primo. Questo orgoglio nella loro umiliazione è giustificato da un argomento senza risposta; il fatto che in realtà sono i progenitori sia dei cristiani che dei musulmani. Il cristianesimo e l'islam riconoscono l'ebraismo come loro "madre" e per una singolare contraddizione entrambi hanno nei suoi confronti rispetto misto ad orrore... da quanto risulta dalla Storia gli Ebrei sono quasi sempre stati o randagi, o ladri, o schiavi, o sediziosi e ancora ai giorni nostri vagabondano per la terra, con sommo orrore degli uomini, di modo che sia il cielo sia la terra che tutti gli uomini sembrano essere stati creati solo per loro vantaggio (...) il mio amore per te è più di una semplice parola... abbiamo strappato a forza con i denti per farci dare il tuo denaro... ancora ti permettiamo in più di una città la libertà di respirare l'aria; abbiamo sacrificato al tuo Yahweh in più di un regno; abbiamo bruciato olocausti. Perché io non voglio, nel tuo esempio, nascondere il fatto che abbiamo offerto a Dio sacrifici umani di sangue?»
Nella voce "Stati e governi" vengono definiti "un'orda di ladri e usurai". Tuttavia, nonostante la sua virulenza antigiudaica, non possiamo dire che Voltaire fosse completamente antisemita: in altre occasioni considera gli ebrei meglio dei cristiani, poiché più tolleranti in campo religioso.
«È con rammarico che parlo degli ebrei. Questa nazione è, per molti versi, la più detestabile che abbia mai contaminato la terra (...) ma cosa devo dire a mio fratello l'Ebreo? Gli offro la cena? Si! (...) Né gli egiziani, né gli stessi giudei, cercavano di distruggere l'antica religione dell'Impero; non correvano per le terre e per i mari a far proseliti: pensavano solo a far quattrini. Mentre è incontestabile che i cristiani volevano che la loro fosse la religione dominante. Gli ebrei non volevano che la statua di Giove stesse a Gerusalemme; ma i cristiani non volevano ch'essa stesse in Campidoglio. San Tommaso ha il coraggio di confessare che, se i cristiani non detronizzarono gli imperatori, fu solo perché non ci riuscirono.»
e nei capitoli XII e XIII (quest'ultimo intitolato Estrema tolleranza degli ebrei) del Trattato sulla tolleranza arriva anche ad elogiarli in parte[250]:
«È vero che, nell'Esodo, nei Numeri, nel Levitico, nel Deuteronomio, ci sono delle leggi severissime sul culto, e dei castighi ancora più severi. (...) Mi pare sia abbastanza evidente nelle Sacra Scrittura che, malgrado la punizione straordinaria ricevuta dagli ebrei per il culto di Apis, essi conservarono a lungo una libertà totale: può anche darsi che il massacro di ventitremila uomini che fece Mosè per il vello eretto da suo fratello, gli abbia fatto capire che con il rigore non si otteneva nulla, e che fosse stato obbligato a chiudere un occhio sulla passione del popolo per gli dei stranieri. (...) Lui stesso sembra presto trasgredire la legge che ha dato. Aveva proibito qualsiasi simulacro, tuttavia eresse un serpente di bronzo. La stessa eccezione alla legge si ritrova poi nel tempio di Salomone: questo principe fa scolpire dodici buoi a sostegno della grande vasca del tempio; nell'arca sono posti dei cherubini; hanno una testa di aquila e una testa di vitello; e con ogni probabilità fu questa testa di vitello mal fatta, trovata nel tempio dai soldati romani, che fece a lungo credere che gli ebrei adorassero un asino. Il culto degli dei stranieri è proibito invano; Salomone è sicuramente idolatra.»
«E così, dunque, sotto Mosè, i giudici, i re, voi vedrete sempre degli esempi di tolleranza. (...) In poche parole, se si vuole esaminare da vicino l'ebraismo, ci si stupirà di trovarvi la più grande tolleranza tra gli orrori più barbari. È una contraddizione, è vero; quasi tutti i popoli si sono governati con delle contraddizioni. Felice quello che pratica dei costumi miti quando si hanno delle leggi di sangue!»
Voltaire qui elogia la tolleranza pratica degli ebrei, a dispetto della loro religione "intollerante"; gli ebrei pacifici e secolarizzati hanno diritto di vivere tranquilli, ma non sarebbe così se seguissero alla lettera le prescrizioni religiose:
«Sembra che gli Ebrei abbiano più diritto degli altri di derubarci e di ucciderci: infatti, benché ci siano cento esempi di tolleranza nell'Antico Testamento, tuttavia vi sono anche esempi e leggi di rigore. Dio ordinò loro talvolta di uccidere gli idolatri, e di risparmiare solo le figlie nubili: essi ci considerano idolatri, e anche se noi oggi li tollerassimo, potrebbero bene, se fossero loro a comandare, non lasciar al mondo che le nostre figlie. Sarebbero soprattutto assolutamente obbligati ad assassinare tutti i Turchi, cosa ovvia; infatti i Turchi posseggono i territori degli Etei, dei Gebusei, degli Amorrei, dei Gersenei, degli Evei, degli Aracei, dei Cinei, degli Amatei, dei Samaritani. Tutti questi popoli furono colpiti da anatema: il loro paese, che si estendeva per più di venticinque leghe, fu donato agli Ebrei con successivi patti. Essi devono rientrare in possesso dei loro beni: i maomettani ne sono gli usurpatori da più di mille anni. Se gli Ebrei ragionassero così, è chiaro che non ci sarebbe altro modo di rispondere loro che mandandoli in galera.»
Altrove prende invece la difesa del cristianesimo delle origini (che altrove spesso critica), contro gli ebrei che lo diffamavano:
«Di tutte le opere prodotte dalla loro cecità, nessuna è così odiosa e stravagante come l'antico libro intitolato: Sepher Toldos Jeschut, disseppellito dal signor Wagenseil, nel secondo tomo della sua opera intitolata: Tela ignea ecc. È in questo Sepher Toldos Jeschut che si legge una storia mostruosa della vita del nostro Salvatore, fabbricata con tutta la passione e la malafede possibili. Così, per esempio, si è osato scrivere che un tale Panther o Pandera, abitante a Betlemme, si era innamorato di una giovane donna maritata a Jochanan. Egli ebbe da questo commercio impuro un figlio chiamato Jesua o Gesù. Il padre del bambino fu costretto a fuggire e si rifugiò a Babilonia. Quanto al piccolo Gesù, fu mandato a scuola; ma, aggiunge l'autore, ebbe l'insolenza di alzare la testa e di scoprirsi il capo davanti ai sacrificatori, invece di presentarsi davanti a loro a testa bassa e col viso coperto, com'era costume: arditezza che fu vivamente riprovata, e indusse a esaminare la sua nascita, che fu trovata impura ed espose ben presto il bimbo alla pubblica ignominia. Questo detestabile Sepher Toldos Jeschut era conosciuto fin dal II secolo: Celso lo cita con rispetto, e Origene lo confuta nel suo nono capitolo.»
Siccome nelle lettere private e in altri testi («concludo dicendo che ogni uomo assennato, ogni uomo probo, deve avere in orrore la setta cristiana»[251]), Voltaire è assai critico con il cristianesimo, non è chiaro se si tratti di finta ironia elogiativa nei confronti di esso, come appare anche nel Trattato sulla tolleranza e anche altrove nel Dizionario filosofico, dove parla della "nostra santa religione" in termini spesso sarcastici (anche perché essendo Voltaire un non cristiano appare strano che definisca Gesù "il nostro Salvatore").
Gli ebrei sono bersaglio di ironia anche nel Candido (in particolare per le loro presunte abitudini, come l'usura e l'avarizia, ma non per razzismo "biologico", Voltaire non considera gli ebrei "una razza", ma un popolo o un gruppo religioso) dove appare ad esempio un giudeo avaro e corrotto di nome don Issacar, benché si opponga con decisione alle persecuzioni contro di loro, e non da meno il parigino si espresse sui cristiani (nel libro satireggiati ad esempio dalla figura del Grande Inquisitore, contraltare cattolico di don Issacar) e sugli arabi musulmani, fatto che ha portato alcuni ad accusare Voltaire di antisemitismo o perlomeno di razzismo generico.[252]
Più che di antisemitismo, sarebbe più giusto, secondo alcuni, parlare di antigiudaismo, in quanto Voltaire prende di mira principalmente quella che giudica la crudeltà e l'ignoranza della religione ebraica e di certa cultura giudaica, come fanno anche altri philosophes.[253]
«Ben lungi dall’odiarvi, vi ho sempre compatiti (...) lungi dall’accusarvi, signori, io vi ho sempre guardati con compassione (...) tuttavia non bisogna bruciarli»
La studiosa di ebraismo Elena Loewenthal afferma che il testo della voce Juifs, peraltro spesso espunto da numerose edizioni del Dizionario e pubblicato anche come pamphlet singolo, lascia «stupiti, colpiti, delusi» pur riconoscendo l'assenza d'invettive proprie dell'antisemitismo, trattandosi perlopiù di riprese delle posizioni di filosofi romani come Cicerone e di attacchi culturali e religiosi, non etnici. Però, quando Voltaire scrive sugli ebrei, secondo Loewenthal, l'astio va ben oltre la polemica antireligiosa, anche se il filosofo condanna esplicitamente i pogrom e i roghi d'ogni tempo; egli poi «propone agli ebrei di tornarsene in Palestina, idea che sarebbe piaciuta ai futuri sionisti se non fosse accompagnata da sarcasmi come "potreste cantare liberamente nel vostro detestabile gergo la vostra detestabile musica"».[254] Sempre nella voce Giudei, pare anche trattare con benevolenza gli ebrei moderni, preferendoli ai cristiani, e distinguendoli dagli ebrei antichi, considerati "mostri di crudeltà e fanatismo" come i cristiani:
«Vi chiedo soltanto di lasciare due o tre famiglie ebraiche, per avviare, dalle parti del monte Krapack, dove abito, una piccola, utile attività commerciale. Perché se come teologi siete molto ridicoli (e noi anche), come commercianti siete molto intelligenti, e noi no. (...) Voi foste dei mostri di crudeltà e di fanatismo in Palestina, noi lo siamo stati nella nostra Europa: dimentichiamo tutto questo, amici miei. Se volete vivere in pace, imitate i Baniani e i Ghebri: sono molto più antichi di voi, sono dispersi come voi, come voi sono senza patria. I Ghebri soprattutto, che non sono altro che gli antichi Persiani, sono schiavi come voi, dopo essere stati per lungo tempo vostri padroni. Non aprono bocca: fate anche voi così. Siete degli animali calcolanti; sforzatevi di essere degli animali pensanti.»
In sostanza Voltaire tollera gli ebrei che si riconoscono nelle leggi dello Stato, e sostiene la tolleranza religiosa nei loro confronti, ma non li ama per nulla.[255]
Islam
Voltaire, come espresse numerose opinioni anticattoliche, oltre al suo noto anticlericalismo, in coerenza con la propria filosofia deista criticò anche l'Islam.[256][257] Nel Saggio sui costumi critica Maometto e gli arabi (pur esprimendo qualche apprezzamento per alcuni aspetti della loro civiltà)[258], già bersaglio, ad esempio nell'omonima opera teatrale Maometto ossia il fanatismo, nonché ebrei e cristiani. Nel Dizionario filosofico parla del Corano:
«Ce livre gouverne despotiquement toute l'Afrique septentrionale du mont Atlas au désert de Barca, toute l'Égypte, les côtes de l'océan Éthiopien dans l'espace de six cents lieues, la Syrie, l'Asie Mineure, tous les pays qui entourent la mer Noire et la mer Caspienne, excepté le royaume d'Astracan, tout l'empire de l'Indoustan, toute la Perse, une grande partie de la Tartarie, et dans notre Europe la Thrace, la Macédoine, la Bulgarie, la Servie, la Bosnie, toute la Grèce, l'Épire et presque toutes les îles jusqu'au petit détroit d'Otrante où finissent toutes ces immenses possessions.»
«Questo libro governa dispoticamente tutta l'Africa settentrionale, dai monti dell'Atlante al deserto libico, tutto l'Egitto, le coste etiopiche sull'oceano per una profondità di seicento leghe, la Siria, l'Asia minore, tutti i paesi che si affacciano sul mar nero e il mar Caspio, fatta eccezione del regno di Astracan, tutto l'impero dell'Indostan, tutta la Persia, gran parte della Tartaria e nella nostra Europa la Tracia, la Macedonia, la Bulgaria, la Serbia, la Bosnia, tutta la Grecia, l'Epiro e quasi tutte le isole fino allo stretto d'Otranto dove finiscono questi immensi possedimenti.»
Critiche si trovano sparse anche nel Candido e in Zadig. Nel detto Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (francese: Essai sur les moeurs et l'esprit des nations), una panoramica dei popoli e delle nazioni senza il desiderio di scendere su dettagli statistici, Voltaire dedica:
Riguardo a Maometto dice:
«dopo aver ben conosciuto il carattere dei suoi concittadini, la loro ignoranza, la loro creduloneria e la loro predisposizione all'entusiasmo, si rese conto di potersi trasformare in un profeta. Si propone di eliminare il Sabismo, che consiste nel fondere insieme il culto di Dio con quello degli astri; il giudaismo detestato da tutte le nazioni, e che aveva grande presa in Arabia; infine il cristianesimo, che conosceva solo per gli abusi di diverse sette diffuse nei paesi limitrofi al suo.»
«È probabile che Maometto, come tutti gli entusiasti, violentemente colpito dalle sue stesse idee, prima le *carica* di buona fede e poi le fortifica con dei sogni tanto che prende in giro se stesso e gli altri e sostiene infine, con delle furbate indispensabili, una dottrina che credeva buona. [...e così] si trovò alla testa di quarantamila uomini presi nel suo entusiasmo»
«di tutti i legislatori che hanno fondato una religione, è l'unico che abbia diffuso la sua con delle conquiste. Altri popoli hanno imposto ad altre nazioni i loro culti con il ferro e con il fuoco; ma nessun fondatore di una setta è mai stato un conquistatore (...) Un mercante di cammelli provoca un'insurrezione nel suo villaggio. Alcuni miserabili seguaci si uniscono a lui; li convince che egli parla con l'arcangelo Gabriele; si vanta di essere stato portato in paradiso, dove ha ricevuto in parte questo libro incomprensibile, ognuna delle cui pagine fa tremare il buon senso; per seguire questo libro, egli mette a ferro e fuoco la sua terra; taglia la gola dei padri e rapisce le figlie; concede agli sconfitti di scegliere fra la morte e l'Islam. Nessun uomo può scusare cose del genere, a meno che non sia nato turco o la superstizione non abbia estinto il suo lume.»
La superiorità della ragione sui "popoli barbari"
Aspre critiche vengono da lui anche sui prussiani, sui francesi[262], definiti, "folli" (come del resto definì anche gli inglesi) e abitanti di un "paese dove le scimmie stuzzicano tigri"[263], popolo a cui lui stesso apparteneva, consentendo di sfumare parte del cosiddetto razzismo voltairiano - che mai invoca stermini e sottomissioni di popoli, per quanto "inferiori" siano - nella derisione verso chi non utilizza i "lumi" della ragione o a quella verso i generici "barbari", atteggiamento eurocentrico tipico degli intellettuali e delle persone del suo tempo[264][265].
«...non c'è nazione più feroce di quella francese.»
«Soltanto da persone illuminate può essere letto questo libro [il Dizionario filosofico, ndr]: l'uomo volgare non è fatto per simili conoscenze; la filosofia non sarà mai suo retaggio. Chi afferma che vi sono verità che devono essere nascoste al popolo non può in alcun modo allarmarsi; il popolo non legge affatto; lavora sei giorni la settimana e il settimo va al cabaret. In una parola, le opere di filosofia non son fatte che per i filosofi, e ogni uomo onesto deve cercare di essere filosofo, senza vantarsi di esserlo.»
Voltaire simbolo dei Lumi
In generale Voltaire ha rappresentato l'Illuminismo, con il suo spirito caustico e critico, il desiderio di chiarezza e lucidità, il rifiuto del fanatismo superstizioso, con una ferma fiducia nella ragione, ma senza inclinazioni eccessive all'ottimismo e alla fiducia nella maggior parte degli individui.[268] A questo riguardo è esemplare il romanzo satirico Candide (Candido, 1759), ove Voltaire si fa beffe dell'ottimismo filosofico difeso da Leibniz. Egli infatti accusa violentemente l'ottimismo ipocrita, il "tout est bien" e la cosiddetta teoria dei migliori dei mondi possibili, perché fanno apparire ancora peggiori i mali di origine naturale e non, che sperimentiamo, rappresentandoli come inevitabili e intrinseci nell'universo. Ad esso oppone il vero ottimismo, ovvero la credenza nel progresso umano di cui la scienza e la filosofia illuminista si fanno portatori, anche se una minima parte di quei mali sono davvero intrinseci e occorrerà comunque sopportarli.[210][269]
Voltaire "era un uomo che godeva sino in fondo della mondanità, con i suoi veleni e le sue delizie. Quello che pochi sanno è che dedicava, ogni anno, un giorno alla solitudine e al lutto: un giorno in cui si chiudeva in casa, rinunciando ad ogni commercio umano, per elaborare il lutto sino in fondo. E questo giorno era il 24 agosto, anniversario della notte di san Bartolomeo: un evento che il Nostro soffriva quasi fisicamente, perché simbolo degli effetti del fanatismo religioso, benedetto, a cose fatte, dalla gioiosa commozione del papa. A quanto sembra, Voltaire dedicava quel giorno all'aggiornamento di una sua personale statistica: quella dei morti nelle persecuzioni e nelle guerre di religione, arrivando, si dice, ad una cifra di circa 24/25 milioni".[270].
A Voltaire si sono ispirati moltissimi intellettuali successivi, vicini e lontani nel tempo, tra cui, anche in minima parte: Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, Maximilien de Robespierre[271], il Marchese de Sade[272], Bailly[273], Condorcet, Cesare Beccaria, Alfieri[274], Leopardi[275], Marx, Kant[276], Schopenhauer[277], Nietzsche[278], Victor Hugo[279], Benedetto Croce[280] e molti altri. Egli è citato criticamente in molte opere anti-rivoluzionarie, spesso attribuendogli posizioni estremiste che non ebbe mai (ad esempio ne L'antireligioneria di Vittorio Alfieri, nella Basvilliana di Vincenzo Monti, oltre che da Joseph de Maistre). A Voltaire viene spesso attribuita la frase «Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire», che però non è sua bensì di Evelyn Beatrice Hall.[281]
Opere
Cronologia
Di seguito viene riportata una cronologia riassuntiva della vita e delle opere di Voltaire:
Cinema
Un film sulla vita dello scrittore e filosofo francese, intitolato semplicemente Voltaire fu girato nel 1933 da John G. Adolfi; lo scrittore era in questo film interpretato dall'attore inglese George Arliss. La figura di Voltaire appare in altri film e serie televisive ambientate nella sua epoca, come Jeanne Poisson, Marquise de Pompadour del 2006.
Diversi film furono inoltre tratti dalle sue opere, in particolare dal Candido.
Commemorazioni
- La cittadina di Ferney, dove ha abitato, si chiama oggi in suo onore Ferney-Voltaire.
- A Voltaire è stata dedicata una moneta commemorativa da 5 franchi francesi, emessa nel 300º anniversario della sua nascita.
- Numerosa è anche la toponomastica dedicata a lui, come il celebre boulevard Voltaire di Parigi, la stazione sua omonima nella metropolitana della capitale francese e la via Voltaire di Roma.
- Il cabaret Voltaire fu un locale d'intrattenimento con intenzioni artistiche e politiche sperimentali, fondato a Zurigo il 5 febbraio 1916 dal regista teatrale Hugo Ball e da Emmy Hennings. Considerato la culla del dadaismo, da alcuni anni ha riaperto come cabaret.
- L'anarchica e attivista statunitense Voltairine de Cleyre fu chiamata così in omaggio a Voltaire; il padre era infatti un emigrante francese anticlericale, fervente ammiratore dell'illuminismo.
- Un asteroide, 5676 Voltaire, è intitolato al filosofo.
Note
- ^ Luciano Canepari, Voltaire, in Il DiPI: dizionario di pronuncia italiana, Bologna, Zanichelli, 2009, ISBN 978-88-08-10511-0.
- ^ Voltaire, su treccani.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Voltaire. Lo scandalo dell'intelligenza, introduzione, su ibs.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Voltaire, Dizionario filosofico, voce Superstizione, Tolleranza.
- ^ Voltaire, su homolaicus.com. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Ricardo J. Quinones, Erasmo e Voltaire. Perché sono ancora attuali, Armando editore, 2012, pag. 38, nota 5; disponibile su Google libri
- ^ Voltaire, Dizionario filosofico, voce Prete; voce Religione.
- ^ Voltaire e Rousseau protagonisti della rivoluzione, su ospitiweb.indire.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ "Annamaria Battista ha documentato come l'antienciclopedismo di Robespierre avesse indotto quest'ultimo a bollare «con brutalità incisiva Diderot, D'Alembert e Voltaire come "intriganti ipocriti", implacabili avversari del grande Rousseau» e come ciò sia riconducibile al "materialismo" della posizione degli enciclopedisti al quale Robespierre contrapponeva la "religiosità" rousseauiana" in Giuseppe Acocella, Per una filosofia politica dell'Italia civile, disponibile su Google books
- ^ Introduzione a Il caso de La Barre, lettera di Voltaire a Cesare Beccaria, su ibs.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Lo stile ironico e polemico di Marx e Voltaire sono spesso stati messi a confronto; esempio: «Egli unisce in sé lo spirito più mordace con la più profonda serietà filosofica: immaginati Rousseau, Voltaire, d'Holbach, Lessing, Heine e Hegel fusi in una sola persona… ecco il dottor Marx» (Moses Hess a Berthold Auerbach, 1841)
- ^ Nella sua fase detta "illuministica", Nietzsche dedica a Voltaire il libro Umano, troppo umano.
- ^ Lorenzo Giusso, Voltaire, in Enciclopedia Italiana (1937).: nella voce viene accolta l'ipotesi, affermando esplicitamente che Voltaire nacque a Parigi il 20 febbraio 1694
- ^ Davidson 2010, pagg. 1-2.
- ^ F. Jacob, Voltaire, Paris 2015, pp. 14-15.
- ^ L'illuminato Voltaire.
- ^ F. Jacob, cit., pp. 19-21.
- ^ F. Jacob, cit., p. 22-24. In una missiva dell'agosto 1735 a Tournemine, Voltaire espresse a lui e a Porée la propria riconoscenza per avergli insegnato a « amare la virtù, la verità e le lettere » (« à aimer la vertu, la vérité et les lettres »); Voltaire, Correspondance, Genève, Institut et Musée Voltaire, poi Oxford, Voltaire Foundation, 1968-1977, lettera D901.
- ^ F. Jacob, cit., pp. 24-25.
- ^ «L'abbé de Chàteauneuf me mena chez elle, j'étais âgé d'environ 13 ans, j'avais fait quelques vers...», vedi (FR) Jean Orieux, Voltaire, p.85, éd. Flammarion, 1966, Livre de Poche.
- ^ Per il valore del legato vedi Jean Orieux, op. cit. La cronologia a p. 18 dà al legato un valore di 1000 franchi del 1966 ma si tratta di un errore, il testo a p. 86 dice 2000 lire (10000 franchi) del 1966 precisa Orieux) e la lira dell'epoca è la lira tornese, il cui valore era di circa 0,38 grammi d'oro.
- ^ I. Davidson, Voltaire: A Life, New York: Pegasus Books, 2010, p. 4.
- ^ R. Pearson, Voltaire Almighty: A Life in Pursuit of Freedom, New York-London: Bloomsbury, 2005, p. 24.
- ^ Petri Liukkonen, Voltaire, pseudonyme de François-Marie Arouet (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2015).
- ^ Davidson 2010, pagg. 3-11.
- ^ Andrea Calzolari - Introduzione a Candido edizioni Oscar Classici Mondadori
- ^ Nel caso in cui fosse realmente figlio illegittimo, si potrebbe facilmente spiegare il ritardato battesimo: vedi sopra.
- ^ Andrea Calzolari, Biografia di Voltaire dal Candido, Oscar Mondadori
- ^ Davidson 2010, pagg. 12-20; 25-30.
- ^ La duchessa di Berry, vedova, era allora in avanzato stato di gravidanza - il padre del figlio era uno dei suoi amanti - e si era ritirata al castello de la Muette per partorire
- ^ Calzolari, Biografia nel Candido Mondadori
- ^ Cfr. Introduzione storico-critica al Dizionario filosofico, Milano, Garzanti, 1999, p. VII.
- ^ Davidson 2010, pagg. 30-33.
- ^ Vita e opere di Voltaire, su nonsolocultura.it. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).
- ^ Voltaire: la vita e le opere, su laurascolastica.it. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2012).
- ^ The life of Voltaire, su thegreatdebate.org.uk. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Davidson 2010, pagg. 40-55.
- ^ a b c d e f g h i j Sambugar-Salà.
- ^ Davidson 2010, pagg. 56-58.
- ^ a b Calzolari, Biografia
- ^ City of Westminster: placche verdi, su transact.westminster.gov.uk. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2013).
- ^ Davidson 2010, pagg. 58-65.
- ^ Il discorso su Shakespeare, commento di Giuseppe Baretti, su spazioinwind.libero.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Isaac Newton, su mondoailati.unical.it. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2013).
- ^ Davidson 2010, pagg. 65-74.
- ^ Davidson 2010, pagg. 70-74.
- ^ Davidson 2010, pagg. 74-86.
- ^ Voltaire, biografia e opere, su homolaicus.com. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Davidson 2010, pagg. 88-89.
- ^ Lettera di Voltaire a Jean Baptiste Rousseau, c. 1 March 1719
- ^ Davidson 2010, pagg. 88-95.
- ^ François-Marie Arouet dit Voltaire, su larousse.fr. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Holmes, Richard (2000). Sidetracks: explorations of a romantic biographer. HarperCollins. pp. 345–366. and "Voltaire's Grin" in New York Review of Books, 30 November 1995, page. 49–55
- ^ Voltaire Biographie - fiche de lecture.
- ^ Preserved Smith, A History of Modern Culture, Volume 2, Cambridge University Press, 2014, p. 251
- ^ Riportiamo parte delle teorie messe in risalto da Migliorini e pubblicate anche su Accademia Edu. “Francois Antoine Chevrier è stato uno scrittore lorenese del primo settecento, che si potrebbe definire l’inventore del voudeville, ironico, molto caustico, pericolosamente polemico, i suoi phamplet e le sue farse gli costarono l'esilio prima a Parigi, poi in Olanda e in Germania, tanto per presentarlo a chi già non lo conoscesse. Spulciando la sua opera in qua e là, mi imbatto in un suo scritto dal titolo “ghiotto”: “Les Amusement des dames de Bruxelles”, dove a un certo punto leggo una parola a me familiare: Volterra. Incuriosito, con maggior attenzione, scopro che in quel libro l'autore, sostiene che Francois-Marie Arouet dopo una visita a Volterra, colpito dalla gentilezza inusitata con la quale fu accolto dagli abitanti, tornato in Francia decise di adottare un -nom de plume- in omaggio a quella città; fu così che divenne universalmente noto con lo pseudonimo di Voltaire … sono saltato sulla sedia! la saliva mi è andata di traverso, una rivelazione di quelle da far girare la testa, credo che mai nessuno finora abbia immaginato una cosa simile, o abbia azzardato anche un confronto o abbia ricercato il perché di una così evidente analogia tra la nostra città e uno dei nomi d’arte più famosi nella storia, forse per prudenza, forse perché non si hanno notizie di questa visita volterrana, o forse perché, nei secoli, la versione più nota della scelta di questo nome d’arte è sempre stata quella dell’ipotesi di un faragginoso anagramma del suo cognome scritto alla maniera latina quindi non AROUET ma AROVET con l’aggiunta delle iniziali L.J. (che stanno per Les Jeune-il giovane), tutto questo ragionamento avrebbe portato all’anagramma e alla scelta dello pseudonimo Voltaire secondo alcuni studiosi del passato, oppure teorie ancora più fantasiose e inverosimili. Il fatto, che sembra acclarato, è che Voltaire non sia mai venuto in Italia, quindi la teoria di Chevrier della visita volterrana non regge e non reggeva nei secoli passati agli occhi degli studiosi volteriani (e non volterriani come li definì Eugenio Scalfari in un famoso articolo sul suo giornale), forse per questo l’affermazione dello scrittore licenzioso fu bypassata e dimenticata. Ma nel 1929 prima e nel 1937 dopo vengono in soccorso di questa analogia, Voltaire-Volterra, due grandi studiosi americani il primo, Ira Owen Wade, in un suo lungo articolo “Voltaire’s name”, pubblicato sulla prestigiosa rivista americana edita dalla Associazione Americana della Lingua Moderna (MLA Modern Language Association con sede a Boston), Il professor Wade evidenzia il fatto che Volterra è la città natale di Aulo Persio Flacco del quale Voltaire conosceva bene gli scritti tanto che sono famose due sue citazioni tratte dalla Satira V del nostro (“Vatibus hic mos est, centum sibi poscere voces, centum ora et linguas optare in carmina centum, fabula seu maestro ponatur hianda tragoedo, vulnera seu Parthi ducentis ab inguine ferrum...” e anche “...quid pulchrius? at cum Herodis venere dies untanque fenestra dispositae pinguem nebulam vomuere lucernae portantes violas rubrumque amplexa catinum cauda natat thynni, tumet alba fidelia vino, labra moves tacitus recutitaque sabbata palles...”) durante una sua discussione che riguardava la setta di Erode. Così potrebbe essere possibile che il satirico Arouet si sia riconosciuto così tanto in Persio Flacco da decidere, non potendo dirsi nato a Volterra, di adottare Volterra come sua città attraverso lo pseudonimo con il quale sarà universalmente noto, con l’idea di nobilitarsi. C’è però da dire, afferma Wade, che “mai Voltaire si è definito un novello Persio Flacco” e dopotutto ci sono poche similitudini tra i due scrittori, anzi possiamo affermare che appartengono a due concezioni letterarie e filosofiche diametralmente opposte: "il coraggioso e ascetico stoicismo di Persio Flacco sembra non aver niente a che vedere con il gioioso epicureismo del giovane Voltaire nè con il pessimismo della sua vecchiaia". Quindi “non è così probabile che il giovane Arouet adotti Volterra come nome sentendosi vicino a uno dei più importanti figli di quella città”, sostiene ancora Wade. Però “il nome di Volterra deve essergli rimasto addosso per qualche altro motivo”, a sostenerlo questa volta è il professore newyorchese Lawrence M.Levin in un suo articolo del 1937 “A note on the Arouet > Voltaire problem” pubblicato sulla rivista “Studies in Philology” pubblicata dall’Università del Nord Carolina. “Potrebbe essere possibile, per esempio”, dice il professore, “che per Arouet, il nome Volterra, abbia evocato una forte suggestione rispetto ad altri nomi di antiche città”. Nelle sue Satire però Persio Flacco, nato a Volterra, non parla mai di Volterra, “nella prima Satira, anche questa citata da Voltaire, parla casualmente di Arezzo, avrebbe dovuto semmai essere Arezzo ad ispirare Arouet. Ma non è così, Arezzo e Volterra sono relativamente vicine, sono entrambe città etrusche, entrambe facenti parte della Lega Etrusca il loro appoggio nel periodo Repubblicano fu molto importante e il loro nome sui libri di storia appare così spesso insieme al punto di poter aver catturato l’attenzione di Francois- Marie”. Cicerone durante il suo consolato si adoperò per l’indipendenza di Volterra e Arezzo, Dionigi di Alicarnasso fa riferimento a Volterra e Arezzo, insieme ad altre (Chiusi, Roselle Fiesole e Perugia), come le uniche città Tirreniche che inviarono aiuti ai Latini nelle guerre contro Tarquinio Prisco e ancora gli aiuti per Scipione, descritti da Tito Livio. Per finire con Tolomeo che descrive Arezzo e Volterra (insieme a Fiesole, Roselle e Perugia) come una sorta di Lega a sé stante di cinque città toscane. Volaterrae un nome molto evocativo, una città nobile antichissima una terra che vola come volano i pensieri, una città che ha intuito e si è battuta per la democrazia fin dai propri albori, anche attraverso uno dei suoi figli più illustri, Persio Flacco appunto, che ha dato voce giovane e raffinatissima, ironica e determinata a questa causa. Voltaterrae-Volterra e per un gioco di pronuncia Voltaire... Nel nome e di fatto una città che presiede la Storia e la democrazia, presiede il primo cristianesimo non ancora, secondo lui, corrotto dal cattolicesimo, con Lino successore di Pietro, insomma una città che lo ha affascinato studiandola. “Che Arouet sia stato influenzato da tutto ciò per la scelta del suo pseudonimo immortale è, naturalmente, pura ipotesi in mancanza di prove concrete, però”, conclude il professor Levin, “le coincidenze sono così notevoli che vale la pena sottolinearle”.
- ^ Davidson 2010, pagg. 94-95.
- ^ Davidson 2010, pagg. 99-109.
- ^ Davidson 2010, pagg.102-120.
- ^ The works of Voltaire, su oll.libertyfund.org. URL consultato il 9 gennaio 2014.
- ^ Davidson 2010, pagg. 239.
- ^ Davidson 2010, pagg. 120-185.
- ^ Davidson 2010, pagg. 205-210.
- ^ Davidson 2010, pagg. 205-225.
- ^ L'Età degli Asburgo di Spagna (1535-1707), a cura di Giorgio Politi
- ^ Davidson 2010, pag. 443 google books.
- ^ Voltaire, Epistolario e Memorie
- ^ Davidson 2010, pagg. 220-238.
- ^ a b c d e Biografia di Voltaire, Introduzione a Candido, Oscar Classici Mondadori
- ^ Davidson 2010, pagg. 239-245.
- ^ già al ritorno dall'Inghilterra, aveva investito denaro presso i banchieri Paris, guadagnando molto dalle speculazioni, e riuscendo a vivere lussuosamente per tutta la vita, anche senza i proventi del suo lavoro letterario
- ^ Voltaire lo colpirà con la satira "Storia del dottor Akakia", deridendolo anche in un capitolo del Candido
- ^ Davidson 2010, pagg. 245-263.
- ^ Davidson 2010, pagg. 264-268.
- ^ Davidson 2010, pagg. 269-270.
- ^ "Fanatici papisti e fanatici calvinisti sono tutti impastati della stessa merda, intrisa di sangue corrotto" (Lettera del 1755 a d'Alembert, Epistolario di Voltaire; citata in Calzolari, Introduzione a Candido)
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- ^ Una spiegazione della circostanza - e del perché Voltaire tenesse tanto ad avere una sepoltura e delle esequie decorose - ricorre a un episodio che Voltaire stesso ricordò in alcune opere, tra cui anche il Candido: la morte della sua giovane e carissima amica, l'attrice Adrienne Lecouvreur, che, scomunicata come tutti gli attori dell'epoca, fu sepolta in una fossa comune. Voltaire, sarebbe stato ossessionato dall'idea di poter fare la stessa fine, e avrebbe deciso infine di firmare una confessione di fede al fine di evitare una sepoltura indegna (all'epoca i funerali e i cimiteri erano esclusivo terreno della Chiesa). Nel Candido, Voltaire fa parlare il protagonista che innorridisce di sdegno per la sepoltura della Lecouvreur ai margini della strada, "nell'immondezzaio", in quanto, chi era privo di funerale religioso, non poteva avere una vera tomba e spesso veniva gettato in una fossa comune senza alcuna cerimonia né onore, in segno di disprezzo. Cfr. La filosofia di Voltaire: ride bene chi ride ultimo, su lorenzorotella.altervista.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).
- ^ L'accademico spagnolo Carlos Valverde, nel 2005, trovò nel numero XII della rivista francese Correspondance Littéraire, Philosophique et Critique (1753-1793) la notizia di una di queste presunte professioni di fede di Voltaire del 2 marzo 1778, resa nella casa del marchese di Villete, alla presenza dell'abate Mignot, nipote di Voltaire, e del marchese Villevielle, tutti e tre firmatari, in qualità di testimoni, della conversione del filosofo e della sua confessione sacramentale di mano del sacerdote M. Gauthier. cfr. Correspondance Littéraire, Philosophique et Critique VOL. 12, avril 1778, pagg.87-88, su archive.org. URL consultato l'8 gennaio 2014. e Correspondance littéraire, philosophique et critique. Tome 12 / par Grimm, Diderot, Raynal, Meister, etc. ; revue sur les textes originaux... par Maurice Tourneux avril 1778, pagg.87 e segg. su gallica.bnf, su gallica.bnf.fr. URL consultato l'8 gennaio 2014. Inoltre, invece di riportare il nome di battesimo, François-Marie Arouet, il documento della presunta conversione riporta lo pseudonimo Monsieur de Voltaire, in teoria non valido per i registri ecclesiastici e civili. Ecco il testo riportato:
«COPIE DE LA PROFESSION DE FOI DE M. DE VOLTAIRE, EXIGEE PAR M. L'ABBE GAUTHIER, SON CONFESSEUR.
«Je, soussigné, déclare qu'étant attaqué depuis quatre jours d'un vomissement de sang, à l'âge de quatre-vingt-quatre ans, et n'ayant pu me traîner a l'eglise, et M. le curé de Saint-Sulpice ayant bien voulu ajouter à ses bonnes œuvres celle de m'envoyer M. l'abbé Gauthier, prêtre, je me suis confessé à lui, et que si Dieu dispose de moi, je meurs dans la sainte religion catholique où je suis né, espérant de la misèricorde divine qu'elle daignera pardonner toutes mes fautes; et que si j'avais jamais scandalisé l'Eglise, j'en demande pardon à Dieu et à elle.
A signé : VOLTAIRE, le 2 mars 1778, dans la maison de M. le marquis de Villette. En presence de M. l'abbé Mignot, mon neveu, et de M. le marquis de Villevieille, mon ami.- L'ABBE MIGNOT, VILLEVIEILLE.
Nous déclarons la présente copie conforme à L'original, qui est demeuré entre les mains du sieur abbe Gauthier, et que nous avons signé l'un et l'autre comme nous signons le present certificat.
Fait à Paris, ce 27 mai 1778. - L'ABBE MIGNOT, VILLEVIEILLE.
L'original ci-dessus mentionné a eté presenté a M. le curé de Saint-Sulpice, qui en a tiré copie. - L'ABBE MIGNOT, VILLEVIEILLE.»»
[...] Letteralmente dice così: "Io, sottoscritto, dichiaro che avendo sofferto di un vomito di sangue quattro giorni fa, all'età di 84 anni e non essendo potuto andare in chiesa, il parroco di Saint Sulpice ha voluto aggiungere un'altra buona opera alle sue inviandomi a M. Gauthier, sacerdote. Io mi sono confessato con lui, e se Dio vuole, muoio nella santa religione cattolica nella quale sono nato, sperando dalla misericordia divina che si degnerà di perdonarmi tutte le mie mancanze, e che, se ho scandalizzato la Chiesa, chiedo perdono a Dio e a lei. Firmato: Voltaire, il 2 marzo del 1778 nella casa del marchese di Villete, in presenza del signor abate Mignot, mio nipote e del signor marchese di Villevielle". Firmano anche: l'abate Mignot, Villevielle. Si aggiunge: "dichiariamo la presente copia conforme all'originale, che è rimasto nelle mani del signor abate Gauthier, che abbiamo firmato, come firmiamo il presente certificato. In Parigi, il 27 maggio del 1778. L'abate Mignot, Villevielle". Che la relazione possa stimarsi come autentica lo dimostrerebbero altri documenti che si incontrano nel numero di giugno della medesima rivista, che non è per niente clericale certamente, perché era pubblicata da Grimm, Diderot ed altri enciclopedisti. [1] Archiviato il 6 marzo 2017 in Internet Archive.
- ^ Ad esempio nell'opera di Eduard Mennechet, pubblicata nel 1840 intitolata Le Plutarque Francais: vies des hommes et femmes illustres de la France ( Le Plutarque Francais: vies des hommes et femmes illustres de la France T.7 pag.131 (31 della biogr. di Voltaire) su archive.org.). L'articolo su Voltaire essendo di tono anticlericale, risulterebbe per tale ragione contraddittorio e non incisivo per dimostrare una supposta conversione. A pag. 31 del tomo settimo dell'opera, si riferisce come Voltaire, tornato a Parigi, dopo aver avuto una forte emorragia, facesse chiamare il sacerdote cattolico Gauthier al quale "...consegnò una dichiarazione affermante che voleva morire nella religione cattolica nella quale era nato, domandando perdono a Dio e alla Chiesa per le offese che poteva loro aver fatto...". Tale dichiarazione non è mai stata trovata. Il parroco di San Sulpicio, nella cui parrocchia Voltaire viveva, l'avrebbe giudicata tuttavia insufficiente visto chi l'aveva scritta e chi erano i testimoni. Successivamente, il filosofo, rimessosi, lasciò "la chiesa per il teatro" ( ibid. poco più sotto Mais Voltaire se sentit mieux et laissa l'église pour le théatre.).
- ^ I colloqui con Gauthier sarebbero continuati sino alla morte, avvenuta all'età di ottantatré anni, il 30 maggio 1778, dopo la quale il Gauthier, avrebbe riferito a un confratello che Voltaire ormai aveva perduto lucidità, cosa verosimile che rende ancor più discutibile una conversione che resta così, più che altro, una desiata presunzione.
- ^ Davidson 2010, pp. 460 e segg. riporta del rifiuto di Voltaire al sacerdote, come raccontato anche da Condorcet.
- ^ Stéphane Audeguy, In Memoriam, Parigi, Gallimard, p. 9-10, ISBN 978-2-07-012319-3
- ^ Ian Davidson, Voltaire in exile: the last years, 1753-1778, nel paragrafo riportato.
- ^ Il fatto di ieri: 30 maggio 1778 - Voltaire, su thepolloweb.blogspot.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
- ^ Davidson 2010, pag.460 cfr su google books estratto.
- ^ pare sia solo un aneddoto non verificato quello che vuole che rispondendo alla richiesta insistita del sacerdote di rinunciare al diavolo e a riconciliarsi con Dio, fece la famosa battuta spesso riportata: "Non è tempo di farsi nuovi nemici", cfr. Voltaire o della disavventura di essere più citato che letto..
- ^ Almanacco: 30 maggio, muore Voltaire, su dietrolequinteonline.it. URL consultato il 12 luglio 2021 (archiviato dall'url originale il 28 giugno 2013).
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- ^ Gli altri ospiti raffigurati nel dipinto sono Gresset, Marivaux, Marmontel, Vien, La Condamine, Raynal, Rameau, mademoiselle Clairon, Hènault, Choiseul, Bouchardon, Soufflot, Saint-Lambert, il conte di Caylus, Felice, il barone di Aulne Turgot, Malesherbes, Maupertis, Mairan, d'Aguesseau, Clairault, la contessa di Houdetot, Vernet, Fontenelle, il duca di Nivernais, Crèbillon, Duclos, Helvètius, van Loo, Lekain, Lespinasse, Boccage, Réaumur, Graffigny, Jussieu e Daubenton. Assenti gli intellettuali più appartati, come il barone d'Holbach.
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Collegamenti esterni
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